Va bene la Dad, ma si apprende per relazione
Caro direttore, quando sono andata a vivere in Grecia avevo 11 anni. Per i primi tre, quattro mesi stavo seduta nel banco, non capivo cosa mi dicevano gli insegnanti, non capivo gli amici, non capivo cosa c’era scritto nei libri, non conoscevo l’alfabeto, i miei genitori non sapevano il greco e io non riuscivo a tradurre le consegne per farmi aiutare. I miei compagni di classe erano avanti anni luce anche in scienze, geometria, geografia. Io non sapevo collocare la mia città di nascita sulla cartina geografica…
Tempo sei mesi, facevo le stesse identiche verifiche, avevo colmato le lacune, avevo imparato tutto. Seguivo le lezioni senza fatica ed ero l’interprete di casa.
Sono venuta in Italia due anni e mezzo dopo. Ed è ricominciato tutto da capo. Facevo metà giornata in prima media e metà giornata in terza media. Non capivo nulla di nuovo e, come potete vedere, ho imparato a far di conto e a leggere e scrivere, anche restando più indietro di tutti. Ma poi ho sostenuto lo stesso esame di terza media dei miei compagni, dopo solo nove mesi che ero in Italia. E sapete perché? Perché si apprende per relazione. Per cui io non ho intenzione di morire dietro alla didattica on line.
Con questo, non voglio assolutamente condannare la Dad, perché vedo insegnanti impegnati che danno l’anima per poter essere vicini ai loro alunni. Gli insegnanti dei miei figli o amici insegnanti sono un portento nel fare sentire la loro vicinanza ai bambini, ai ragazzi. Voglio però insistere su un fatto: non sarà questa quarantena a rendere i nostri figli analfabeti. Non sarà un anno o diciotto mesi di scuola persi a renderli incapaci.
Forse è chi ci governa in maniera incapace, incompetente e approssimativa a pensare che si può portare avanti il programma davanti a un pc come se nulla fosse. Mio figlio, in prima elementare, durante un collegamento mi ha detto: “Ma io non posso abbracciare la maestra, dal computer, io qui non capisco nulla!”. È qui che ho deciso, che i videocollegamenti non saranno l’unità di misura della conoscenza dei miei figli.
Li metto a fare i compiti, non perché stiano in pari con il programma, ma perché ogni tanto si prendano una pausa dal picchiarsi selvaggiamente tra loro. E detto per inciso: la quarantena è già faticosa di suo senza che si costringano i bambini a fare quel che dice un ministro dell’Istruzione inciampando nelle sue parole senza capire quello che sta dicendo. È la combriccola di ministri che naviga a vista a suon di decreti, al limite del ridicolo, che rende tutto ancor più difficile, non di certo insegnanti e bambini, di cui, invece, siamo tutti molto fieri per come stanno affrontando la quarantena.
Anjeza Gjika
Foto Ansa
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