Usa in difesa del bene comune

Di Lorenzo Albacete
25 Ottobre 2001
New York. La Fox Tv, nelle ultime settimane, sta mandando in onda ad intervalli di poche ore un filmato di un minuto dove una ventina di persone, sfilando, fissano la telecamera, ripetendo una dopo l’altra: «Sono un americano».

New York. La Fox Tv, nelle ultime settimane, sta mandando in onda ad intervalli di poche ore un filmato di un minuto dove una ventina di persone, sfilando, fissano la telecamera, ripetendo una dopo l’altra: «Sono un americano». Soltanto uno o due di questi individui soddisfano l’immagine stereotipata dell’americano: bianco, biondo, occhi chiari. Al contrario, nella stragrande maggioranza, si tratta di non bianchi, di razza mista, che parlano con ogni sorta d’accento e sono vestiti secondo i vari generi di abbigliamento “etnico” tipici delle città, delle periferie e delle zone rurali. L’ultimo passaggio ripeteva il motto nazionale: «Ex pluribus unum». Il senso del messaggio è chiaro. Per essere un americano, basta soltanto una cosa: la volontà di mantenere la propria condotta di vita entro gli argini della Costituzione degli Stati Uniti. Americani sono tutti coloro che credono che la migliore garanzia per la libertà di raggiungere i propri obiettivi di vita, sia la Costituzione degli Usa. I cittadini americani, secondo le proprie tradizioni culturali, religiose ed etniche d’origine, assai diverse tra loro, hanno punti di vista differenti in merito a ciò che costituisce il “bene comune” della società. Effettivamente, molti forse parlerebbero di tanti “beni”, spesso in conflitto. Ma ciò che viene richiesto a tutti è la volontà, a costo di qualsiasi sacrificio personale, di difendere le regole che creano e proteggono quello “spazio di vita” all’interno del quale ciascun individuo può cercare di raggiungere ciò che ritiene il proprio bene. Infine, ciò che si chiede al popolo americano è l’impegno serio a fare di tutto perché questo modello sia possibile, nelle circostanze concrete del tempo presente. Oggi, con un’intensità che nella mia vita non avevo mai sperimentato, la libertà di raggiungere questo “sogno americano” viene messa in pericolo da un nemico invisibile. Credo che gli americani non si sentivano come oggi almeno dalla Seconda Guerra mondiale. Durante la Guerra Fredda si potevano chiamare a raccolta i cittadini paventando un indebolimento delle difese nazionali: quando ciò accadeva, la maggioranza era disposta ad accettare qualunque misura utile a rafforzare il Paese. Tanto che i politici, spesso, facevano appello a queste paure per ottenere l’appoggio ai propri programmi. Tuttavia, dopo l’esperienza del Vietnam, gli americani sono più diffidenti. E da quando il “nemico”, l’Urss, è scomparso improvvisamente dalla scena, appaiono ancor meno disposti a sopportare i “sacrifici necessari” in nome della sicurezza nazionale. Curiosamente, negli ultimi anni, è cresciuto l’interesse per la Seconda Guerra mondiale. Il film Salvate il soldato Ryan è diventato molto popolare, così come il libro del giornalista televisivo Tom Brokaw, The best generation (“La nostra generazione migliore”), che racconta il coraggio con cui gli americani hanno risposto alla guerra. Una mini-serie televisiva sull’ultimo conflitto, Band of Brothers, cominciata prima dell’11 settembre scorso e tuttora trasmessa, ha avuto ancor più largo seguito dopo l’attacco terroristico. Brokaw si è domandato se vedremo ancora quel patriottismo e quella disponibilità al sacrificio così diffusi durante la Seconda Guerra mondiale. La reazione all’11 settembre rivela che l’attuale generazione vuol dimostrare che l’America può contare su di lei per fare quello che è necessario. Il problema è che il nemico è invisibile, pronto a colpire all’interno del Paese e precisamente nello spazio di quelle libertà che sono le fondamenta del modello americano. Sarà interessante vedere cosa accadrà quando gli americani cominceranno a capire cosa questo potrebbe significare.

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