Un’Olimpiade dell’altro mondo

Di Roberto Perrone
05 Ottobre 2000
Diario di Sydney. Fine. Devo riconoscerlo - a parte qualche sporadica ottusità - è stata una grande Olimpiade.

Diario di Sydney. Fine. Devo riconoscerlo – a parte qualche sporadica ottusità – è stata una grande Olimpiade. Forse la migliore che ho frequentato anche se, con la vecchiaia, con il cinismo che mi accompagna, fingo di non stupirmi più di nulla. È stata una grande Olimpiade, perché era ovunque, in città. La cosa bella di un avvenimento sportivo di questo livello è viverlo 24 ore al giorno, mentre fai colazione, mentre passeggi in centro in un momento di calma, mentre attraversi i sobborghi per raggiungere il posto della canoa, dove tira un vento assassino. Qui erano tutti contenti, tutti partecipi, tutti sapevano che c’era l’Olimpiade e ti chiedevano da dove venivi, chi eri, se ti piaceva il posto. “Enjoy?”. Sì, mi è piaciuto, anche perché non ho letto sui giornali australiani nessun articolo sulla Capalbio locale, su quelli “Ah, che schifo lo sport e questo caos…”, su quelli che si ritirano in campagna, su quelli che fanno le ferie alternative, sui verdi, sull’orgoglio gay. Non c’era un magistrato scassaballe che indagava, non c’era una dimostrazione di protesta. Le scuole sono rimaste chiuse due settimane, la gente si è divertita. E noi con loro. Basta poco, che ce vo’? Basta venire all’altro capo del mondo.

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