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Home Cultura

Merito e “casta” nelle università americane

Il caso paradigmatico di una studentessa con volti altissimi rifiutata dai college della Ivy League. Bianca, texana, senza parenti ex allievi e della classe media, non ricade in nessuna delle categorie "protette"

Piero Vietti
02/05/2022 - 6:27
Cultura
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Università di Harvard
Maggio 2020. Due studenti neolaureati posano per una foto davanti alla statua di John Harvard, nell’omonima università (foto Ansa)

Kaitlyn Younger è una studentessa americana di 18 anni che rasenta la perfezione scolastica. Frequenta la McKinney High School vicino a Dallas, e si diplomerà tra qualche settimana con una media altissima. Nella sua scuola ha fondato un club, si è esibita e ha diretto circa 30 opere teatrali, ha cantato nel coro del liceo, ha ottenuto il massimo dei voti nei test che ha sostenuto finora per undici classi di livello avanzato, ha aiutato a organizzare un campo estivo e ha svolto un lavoro part-time. Come logico, qualche mese fa ha fatto domanda per entrare nelle migliori università americane, quelle della Ivy League. In aprile sono arrivate le risposte dalle segreterei dei college: Stanford, Harvard, Yale, Brown, Cornell, University of Pennsylvania, University of Southern California, University of California, Berkeley e Northwestern l’hanno respinta.

Pochi posti in università per i bianchi non raccomandati

Non è l’unica, scrive il Wall Street Journal, che ha raccontato la sua storia qualche giorno fa. Rifiuti analoghi hanno sommerso migliaia di studenti meritevoli quest’anno. Le università americane hanno ricevuto decine di migliaia di richieste di iscrizione da quando hanno tolto gli esami di ammissione. Ecco perché in tanti hanno tentato la fortuna, sapendo che questi college da sempre considerati tra i più selettivi hanno posto maggiore enfasi sui voti, sul rigore accademico e sulla diversità razziale e socioeconomica. Il numero dei posti è sempre quello, e con più candidati il livello si è alzato, e in caso di aspiranti studenti con risultati simili (ma non per forza uguali) entrano in gioco altri “filtri”.

Kaitlyn è una ragazza bianca della classe media di una scuola pubblica del Texas. Ogni sua caratteristica la colloca in un gruppo sovrarappresentato, nota il WSJ. Negli ultimi anni la metà degli studenti bianchi ammessi ad Harvard erano atleti oppure figli di docenti, dipendenti, laureati o donatori di Harvard. Va così anche nelle altre università della Ivy League, i posti per i bianchi non “raccomandati” restano pochi e, ironia della sorte, è ancora più dura per le ragazze bianche: sono più dei maschi ma i college vogliono mantenere la parità di genere, e per loro la selezione è conseguentemente più dura.

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«L’America ha tradito i suoi ragazzi»

La storia di Kaitlyn è paradigmatica di una tendenza che, scrive Lionel Shriver sullo Spectator, «sta danneggiando i giovani americani in modo schiacciante». Kaitlyn è convinta di essere stata respinta dalle università più prestigiose a causa di due voti non eccezionali (due B invece di due A), la verità è che l’esasperazione di infilare in categorie più o meno protette chi vuole iscriversi al college ha reso quasi inutile il merito.

L’eliminazione dei test, paradossalmente, ha dato agli appartenenti alle minoranze meno possibilità, consegnando nelle mani degli amministratori degli atenei tutti gli strumenti per comporre i puzzle delle classi a piacimento a seconda dei colori, delle preferenze sessuali, della provenienza e della ricchezza degli aspiranti studenti. Il suo paese ha tradito Kaitlyn, scrive Shriver. «Gli Stati Uniti stanno infrangendo il loro contratto implicito con i giovani: la promessa che se lavorano duramente, seguono le regole e superano i loro coetanei, saranno ricompensati». Il messaggio contrario si legge forte e chiaro: tutto ciò che conta è in quali categorie cadi casualmente per nascita. Non importa la meritocrazia».

L’unica cosa che conta è la categoria in cui sei

È il politicamente corretto portato al parossismo, l’ansia di non offendere nessuno portata all’estremo, la volontà di dare a tutti un’opportunità che diventa il suo contrario. In pochi anni l’Università americana è diventata il laboratorio dello stravolgimento della sua stessa essenza. Il suo paese l’ha tradita. Gli Stati Uniti stanno infrangendo il loro contratto implicito con i giovani: la promessa che se lavorano duramente, seguono le regole e superano i loro coetanei, saranno ricompensati. Il messaggio è chiaro, e innerva gran parte del pensiero progressista che si definisce orgogliosamente woke: l’unica cosa che conta è la categoria in cui finisci per diritto di nascita, la “casta” razziale, sessuale, geografica ed economica. La (pur imperfetta) meritocrazia è passata di moda.

Tags: Politicamente CorrettoStati Unitiuniversitàwoke
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