

Era il 2 febbraio del 1982 quando un imprenditore veneto della provincia di Padova insieme ad un imprenditore brianzolo, immobiliarista e col pallino della televisione, inaugurarono “Programma Italia”, una rete di consulenti finanziari con una proposta globale nel settore del risparmio. Dopo trent’anni, Ennio Doris, presidente di Banca Mediolanum Spa, ripercorre con tempi.it i momenti più significativi che hanno permesso la creazione di una delle realtà creditizie più importanti d’Italia. E commenta qualche dato di attualità con qualche consiglio.
«Appena diplomato – racconta Doris – volevo lavorare in banca e far carriera in quell’ambito, ho avuto anche un’esperienza di direzione generale nel settore metalmeccanico nel 1968. Un primo episodio per me importante risale alla primavera del 1969. All’epoca il mio titolare Gianni Marchiorello ricopriva anche la carica di presidente dell’Associazione industriali di Padova e, un giorno, mi invitò ad andare all’assemblea degli azionisti della Banca Antoniana. Arrivai puntuale all’appuntamento con la mia Fiat 850, 120 mila chilometri, tappetini rigorosamente di plastica e un po’ rumorosa. Marchiorello mi aspettava sulla sua Citroen Pallas, il famoso “squalo”. Io salii sul sedile posteriore, dietro al guidatore, abbassai la testa per vedere la moquette in cui stavano sprofondando i miei piedi, guardai poi il sedile dell’autista paragonabile ad un trono e il salottino in cui ero seduto. L’automobile si accese e le sospensioni idrauliche si alzarono. Volevo anch’io una macchina così! Parrà strano, ma fu allora che capii che la mia vocazione era fare l’imprenditore e prendere in mano il volante della mia vita. Il problema è che non sapevo cosa fare perché ero un ragioniere senza un patrimonio e un’esperienza specifica. Sei mesi dopo questo avvenimento, un mio ex compagno di scuola mi propose di entrare in Fideuram, che a quel tempo vendeva fondi comuni. Si veniva pagati a provvigione. Questo aspetto mi colpì immediatamente perché i guadagni dipendevano da me; non ero più il dipendente che doveva aspettare la promozione e potevo iniziare da subito una esperienza imprenditoriale senza bisogno di disporre di un capitale di rischio che non fosse il mio lavoro».
Era un bel salto in quell’epoca.
Sì, è vero ed era proprio questo l’aspetto che mi affascinava. Quando incominciai questa attività nell’autunno del 1969, di notte avevo un incubo: sognavo di essere ancora in banca, con le inferriate alle finestre e il vetro smerigliato sul bancone con un piccolo pertugio. Insomma, una prigione. Mi svegliavo di soprassalto contento di lavorare per Fideuram, anche perché, dal punto di vista remunerativo, guadagnavo sei, sette volte quello che avrei guadagnato da bancario.
Quindi la sua passione per il risparmio gestito ha una lunga origine?
Ricordo un momento particolare che ha caratterizzato quello che poi sarebbe diventata la mia attività imprenditoriale. Una sera andai da un falegname che mi diede un assegno di 10 milioni di lire e mi disse: «Signor Doris, sa cosa le ho dato? Questi». Mi mostrò con un gesto i calli della sua mano. Proseguì l’artigiano: «Io non posso ammalarmi, altrimenti la mia famiglia non vive. Se lei gestisce bene i miei risparmi per 15 anni, allora potrò avere un gruzzolo che mi consentirà di ammalarmi». Tornato a casa ero triste: mi avevano detto che noi eravamo i medici del risparmio. Ma che medico sono? Un medico non ci mette quindici anni per curare un malato. E in modo particolare, la soluzione che avevo offerto al falegname non rappresentava la vera soluzione al suo problema. Infatti se avesse sottoscritto una polizza infortuni e malattie da un milione e mezzo, il falegname avrebbe potuto ammalarsi anche il giorno dopo. Avrebbe risparmiato otto milioni e mezzo anziché dieci, ma non avrebbe vissuto senza preoccupazioni per la sua famiglia. Grazie a quell’incontro scoprii le divisioni esistenti tra banche, assicurazioni e società finanziarie: ognuno in contrapposizione agli altri nel propagandare il proprio prodotto come il migliore. Da quell’incontro mi sono detto: voglio avere successo non perché sono bravo a vendere, ma perché risolvo i problemi delle persone, devo quindi avere tutti i prodotti.
Dopo quel fatto cos’è accaduto?
Ho continuato a lavorare come un matto con lo scopo di accumulare un capitale sufficiente per aprire una mia attività, con la speranza di incontrare un altro matto, un imprenditore, con cui mettere in pratica la mia idea. La sorte ha voluto che nel maggio del 1981 leggessi un’intervista rilasciata da Silvio Berlusconi sul mensile Capital che diceva: «Se qualcuno ha un’idea e vuole diventare imprenditore, mi venga a trovare. Se l’idea è buona ci lavoriamo insieme». Dopo qualche settimana, alle sei del pomeriggio di un giovedì, incontrai per caso Berlusconi in piazzetta a Portofino. Mi presentai e gli spiegai la mia idea. Al tempo lavoravo per la Dival, la rete del Gruppo RAS, e gestivo più o meno 800 promotori per un ammontare di raccolta mensile di 10 miliardi di lire. Gli dissi che se avessi avuto un imprenditore con degli strumenti immobiliari da collocare si sarebbe potuto fare di più. Erano gli anni in cui il core businness di Berlusconi erano ancora gli immobili, infatti si dimostrò interessato ponendomi delle domande e arrivando subito al nocciolo della questione. Alla terza domanda sembrava il massimo esperto di reti presente nel mercato. Silvio ha un’intelligenza nel capire le cose nuove che mi ha sempre lasciato di stucco.
Tutto è iniziato da quell’incontro?
Sì, ma non è stato l’incontro risolutivo. C’è un altro aneddoto che non ho mai raccontato. Berlusconi in quel periodo aveva costruito a Lacchiarella, un centro di commercio all’ingrosso con valore notevole. Andò a Lugano per incontrare Bagnasco proprietario del fondo Europrogramme col fine di vendere il centro appena costruito. L’affare non incontrò l’interesse degli svizzeri, ma, tornando da Lugano, disse ai suoi collaboratori di non preoccuparsi perché aveva conosciuto una persona adatta a creare una struttura di vendita che avrebbe risolto il problema.
Quindi se Berlusconi avesse trovato interesse dal fondo Europrogramme, probabilmente Mediolanum non sarebbe nata.
Sì, forse è così, di sicuro non sarebbe nata in quel periodo.
Poi cosa accadde?
Berlusconi chiamò anche altri manager che lavoravano nelle reti, ma solo io mi misi in gioco con lui: gli dissi la cifra che guadagnavo (era veramente buona) e che da lui non avrei chiesto niente, perché mi sarei impegnato con metà del capitale nella nuova società. All’inizio il mio stipendio fu un decimo di quello precedente. L’obiettivo era diventare i numeri uno e ci mettemmo d’accordo con una stretta di mano. Fu così che il 2 febbraio del 1982 fondammo Programma Italia, per metà mia e per metà di Fininvest. Quella data è per me molto significativa, perché è il giorno della nascita di mia madre.
Un significato importante per lei.
Se penso a tutti gli avvenimenti che mi hanno portato dove sono adesso, vedo la mano di un angelo custode. Penso che mia mamma dall’aldilà continui a vigilare per aiutarmi: non è possibile che tutto ciò che mi è accaduto sia stato affidato al caso.
Come sintetizza trent’anni di attività? Qual è stata la novità e le eccellenze che avete portato al mercato?
La vera novità introdotta dal nostro sistema è quella di aver dato al cliente un unico interlocutore preparato: il Family Banker, anziché diversi esperti che vendono prodotti. Quando ho messo in piedi la banca ho fatto lo stesso ragionamento di Steve Jobs, che prima creò un juke box portatile (l’i-pod) e successivamente lo inserì in un telefono cellulare, l’i-phone: uno strumento che a differenza dell’i-pod avevano tutti. Con Mediolanum, attraverso la creazione del family banker, abbiamo fatto la medesima cosa. Tutti hanno un conto corrente ed è quello il primo luogo dove si genera il risparmio. Abbiamo creato una banca con i servizi al cliente e la gestione attraverso il family banker che personalizza tutte le facilities tecnologiche umanizzandole. Oltre a questo, abbiamo creato delle punte d’eccellenza. Il nostro banking centre ha i tempi di risposta migliori al mondo. Una volta mi trovavo a New York con altri banchieri. Abbiamo fatto una gara che consisteva nel realizzare un bonifico nel breve tempo possibile. In tre minuti avevo fatto tutto, gli altri erano ancora in attesa di ricevere una risposta dai loro operatori.
L’ultima intervista che ha rilasciato a tempi.it (AUDIO), aveva manifestato una forte preoccupazione per il contesto finanziario e aveva puntato il dito contro le regole imposte alla Bce, che impediscono di essere prestatore d’ultima istanza. Qual è il suo feeling dopo tre mesi?
Ci sono due superMario che stanno agendo. Le riforme strutturali che sta portando a termine il governo le avremmo dovute fare indipendentemente dall’Europa e dall’Euro, perché in un mondo sempre più integrato la sfida competitiva diventa più forte. Le imprese non possono essere decontestualizzate dall’ambiente in cui vivono e gli handicap o le situazioni di vantaggio vengono determinati dal posto in cui operi. Ci sono tre punti fondamentali che devono essere affrontati.
Primo. Il debito italiano dipende tutto dall’Inps. Tutti gli anni nella legge di stabilità a piè di lista ci sono 70 miliardi che vengono versati all’Inps per colmare il buco generato dalla differenza tra le prestazioni di previdenza-assistenza e i contributi ricevuti. Dalla somma di 70 miliardi moltiplicati per venticinque anni (interessi compresi), vengono fuori i 1900 miliardi del nostro debito pubblico. Questo problema è già stato risolto dal Governo.
Cosa vede d’altro da portare a compimento?
Altro punto fondamentale è il mercato del lavoro ancora troppo rigido da sommarsi al costo dell’amministrazione pubblica. Pensioni, riforma del mercato del lavoro e deburocratizzazione sono i tre nodi più importanti. Adesso ci manca da flessibilizzare il mercato del lavoro e un intervento alla macchina burocratica. Il governo deve riuscire a compiere le riforme prima che inizi la campagna elettorale; è una lotta contro il tempo. Se dovesse riuscirci, la crisi sarà stata benedetta, perché avranno luogo provvedimenti che nessun esecutivo era stato in grado di fare a causa delle loro coalizioni. Il governo tecnico consente ai partiti di approvare leggi che altrimenti non potrebbero attuare.
Per quanto riguarda l’altro superMario?
L’altro superMario, non può acquistare direttamente titoli di Stato, ma dà i soldi alle banche come ha fatto nello scorso dicembre. Draghi ha permesso di attenuare già da subito lo spread sui titoli a breve termine. Il problema dello spread è determinante, perché se lo Stato italiano paga il 6-7 per cento su un Btp a dieci anni, e una banca vuole finanziarti, bisogna pagare il 9 per cento. È prioritario abbassare lo spread in modo che il costo del denaro per le banche si abbassi così da dare ossigeno alle aziende. Un altro mito da sfatare: il denaro usato per rafforzare i patrimoni delle banche va a vantaggio delle aziende. Per intenderci, le banche italiane hanno un costo del denaro più alto delle tedesche. Deutsche bank, che opera anche in Italia, ha quindi un potere d’approvvigionamento al denaro meno oneroso, la conseguenza è che le banche italiane ne risentiranno in termini di concorrenza. Lo spread deve ridursi in modo tempestivo, altrimenti ne risentirà il nostro sistema creditizio.
Twitter: @giardser
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