
Una riforma da campioni d’agosto
Ci avevano promesso di liberare la scuola dai vecchi cascami, distruggendo l’impianto statalista da caserma immobile e impermeabile ai cambiamenti e ponendo finalmente al centro del sistema l’uomo, insegnante e allievo, partendo dai bisogni ma anche dai meriti. Ci hanno consegnato, con il bollo del Consiglio dei Ministri, il vecchio impianto sindacalizzato, il diplomificio capace di garantire soltanto il posto fisso, le graduatorie infinite come parametro attorno al quale si muove l’intero universo educativo, l’autonomia piegata a mero vocabolo di ornamento in un meccanismo rigidamente standardizzato che dimentica la libertà di scelta e torna tra le braccia dell’imposizione di Stato. Ovvero, il prof che passa il test per l’accesso alla laurea specialistica è certo di avere il posto a vita, qualunque cosa faccia (o non faccia).
Una delusione, non c’è che dire, soprattutto alla luce del fatto che la bozza del già citato decreto attuativo prevedeva, nei piani di elaborazione emersi sul finire dello scorso anno, per i futuri lavoratori della scuola solo assunzioni a termine, per chiamata diretta da parte della scuola e dopo due anni di apprendistato. Abbiamo chiesto il parere, riguardo a questo passo falso della riforma, ad alcune personalità a vario titolo coinvolte nel mondo dell’educazione, tanto per capire che aria tira tra corridoi e aule.
IL DIRITTO BATTE IL MERITO
«Sono delusa, terribilmente delusa». Paola Mastrocola non accenna nemmeno ad abbozzare, la sua è una bocciatura su tutta la linea della decisione ministeriale. Lei, d’altronde, al disincanto per un lavoro che adora, «ma che non esiste più», ha dedicato il suo ultimo libro, La scuola raccontata al mio cane, dopo il successo del precedente Una barca nel bosco. Torinese, insegnante di lettere in un liceo, Paola Mastrocola ribadisce a Tempi: «Ripeto, una delusione pazzesca. Avevo accolto con grande favore l’ipotesi di ‘assunzione diretta’, era un chiaro segnale sulla strada della meritocrazia degli insegnanti. E poi, sono sincera, mi piaceva da morire la possibilità di assunzione delegata direttamente alle scuole, un vero e proprio viatico per valorizzare i professori meritevoli. Invece, come sempre, ha vinto la tendenza al ‘diritto’ contro quella al ‘merito’, un vero compromesso all’italiana che suppongo sia figlio legittimo delle pressioni sindacali. Che dire, ormai non vedo motivi di speranza: eccetto quella bozza di decreto attuativo, infatti, nel complesso della riforma non ci sono altri elementi di reale meritocrazia, sia per i professori che per gli alunni. Stiamo tornando inesorabilmente indietro e questo mi ferisce soprattutto nei riguardi dei giovani insegnanti: sempre meno ragazzi vogliono fare questo lavoro non perché non sia più affascinante, ma perché non vogliono vivere una vita professionale intruppati come in una caserma, con uguali diritti (in primis, il posto fisso) per tutti. Uno slogan che nella realtà si traduce in uno zero umano e professionale per tutti».
Di parere identico, se non ancor più pessimista, è Giovanni Cominelli, editorialista del Riformista e profondo conoscitore della materia scolastica. Dice a Tempi: «La questione del personale docente è fondamentale e infatti su come affrontarla all’estero hanno le idee molto chiare. Ai docenti servono tre linee di competenza: le conoscenze disciplinari, le abilità didattiche, le capacità relazionali e comunicative. Si costruiscono nelle università e direttamente nelle scuole attraverso il praticantato tutorato e valutato dalle scuole stesse. Chi passa le forche caudine delle tre competenze, viene chiamato direttamente e assunto dalle scuole o dai Comuni. Periodicamente viene valutato, aggiornato, promosso secondo una carriera, che non è scandita dal compleanno, ma dal merito, ben pagato. Se non funziona, non viene trasferito a far danni in un’altra scuola, viene licenziato». In Italia, invece, le cose funzionano in modo un attimino differente. «Nessuna selezione, nessuna preparazione specifica, nessuna valutazione, nessun controllo, stipendio basso. L’unico criterio di avanzamento di ‘carriera’? Semplice, l’invecchiamento biologico. è un disastro pedagogico e didattico, che si consuma sulla pelle delle giovani generazioni nella forma di fuga, dispersione, impreparazione alla cittadinanza attiva, cioè occupabile con ovvie ripercussioni a livello economico per il futuro del paese». Quindi questo ‘golpe’ operato con il decreto attuativo rischia veramente di arenare qualsiasi ipotesi di riforma meritocratica? «Certo. Lo schema di decreto legislativo avvia solo un timidissimo cambiamento perchè il 50 per cento dei posti sarà sì riempito da nuove leve giovanili, con criteri di programmazione, numero chiuso, praticantato, selezione in ingresso, codecisione tra Università e scuole, ma il resto funzionerà come da vecchio reclutamento. Inoltre la programmazione statale non include le scuole paritarie, per le quali manca un canale specifico di formazione – e perciò sono mortalmente minacciate – non include le Regioni, non c’è chiamata diretta da parte delle scuole autonome. Ancora una volta, l’apparato ministeriale e il sindacato sono uniti nella lotta per conservare lo status quo».
Altrettanto deluso, non tanto per le ‘promesse tradite’ della bozza quanto per il metodo utilizzato nell’intervento, è anche Vittorio Campione, già segretario particolare dell’ex ministro dell’Istruzione Luigi Berlinguer ed esperto di sistemi educativi. «Il mio scoramento prescinde dai cambiamenti intervenuti nei mesi e si incentra sul fatto che si mette mano a un nodo fondamentale del sistema come la formazione e il reclutamento dei docenti in maniera totalmente atemporale e decontestualizzata rispetto alle reali necessità e opportunità forniteci ad esempio dalla tecnologia. Il parametro è uno solo: ci sono i precari, ci sono gli alunni. Punto. Ritengo che si sia ceduto a un presupposto massimalista che mette nello stesso calderone la questione della formazione nella sua complessità e quella del precariato: cosa significa vincolare ogni cosa all’assunzione di 200 mila precari? Da che mondo è mondo le assunzioni dovrebbero avvenire in base alle esigenze e attraverso un criterio di contestualizzazione della formazione».
Ritorna, ancora una volta, la questione della ‘chiamata diretta’, sulla quale il dottor Campione ha pochi dubbi: «Autonomia scolastica significa proprio che le istituzioni scolastiche non solo possano ma debbano assumere direttamente il personale di cui hanno necessità nel momento che ritengono più giusto e scegliendo a tal fine le personalità con i profili professionali migliori. Certo ci vogliono delle regole, dei paletti che ‘regolamentino’ questa libertà, a partire dalla formazione di tutti i docenti che deve essere paritaria, ma non per limitare l’autonomia bensì semplicemente perché dopo 150 anni di utilizzo di un sistema sarebbe folle pensare di cambiare dalla sera alla mattina senza gradualità, sperimentazione e monitoraggio. Ripeto, io vedo molto positivamente il fatto che un preside cerchi di portare nel suo liceo il professore dell’istituto accanto perché lo ritiene professionalmente adatto per l’offerta formativa che intende offrire ai suoi studenti. Essere bravi non è una colpa». E invece di chi è la colpa per questo ennesimo passo indietro? «Io sono convinto che il peso della burocrazia ministeriale unito al corporativismo della classe insegnante rappresenti un ostacolo per qualsiasi tentativo di indirizzarsi velocemente verso la direzione giusta della riforma. In questo caso, la massa quantitativa del dissenso diventa qualità per chi non vuole cambiare».
paritarie? non esattamente
Ugualmente scettico l’esponente radicale Lorenzo Strick Lievers, secondo il quale «i punti critici sono essenzialmente tre. Uno è ovviamente quello della mancata possibilità per le scuole di avere una parte di chiamata diretta dei docenti, visto che questa sarebbe la più grande garanzia di qualità dell’insegnamento: se la bravura diventa il criterio discriminante, tutti cercheranno di migliorare e questo non può che fare bene alla scuola. Un secondo punto negativo riguarda l’arruolamento, visto che è previsto che i numeri siano fatti in funzione unicamente dei posti della scuola statale maggiorati del 10 per cento. In questo modo si ha la garanzia del posto fisso nella scuola statale, escludendo però sia la scuola non statale paritaria che quella non paritaria (di cui tra l’altro manca ancora una regolamentazione). Quindi queste ultime due categorie non possono avere gli insegnanti migliori ‘per legge’. Terzo punto, altrettanto grave a mio avviso, è quello che vede annientati i laureati della Ssis e gli attuali laureati e abilitati con il corso di scienze della formazione primaria. Questi docenti fanno un corso di durata inferiore rispetto a quelli che escono con laurea specialistica ma nella bozza di decreto precedente per loro si attivava un canale specifico di arruolamento che li equiparava ai vincitori di concorso inserendoli quindi in una graduatoria che beneficiava di un quarto dei posti a disposizione. Ora questo canale è sparito, queste persone vengono quindi affogate nella maxi-graduatoria, all’interno della quale una maestra diplomata alle magistrali con un solo anno di supplenza alle spalle vale più di un laureato con 110 e lode in scienze della formazione primaria».
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