Una kill pill da Terzo Mondo

Di Emanuele Boffi
01 Dicembre 2005
VOMITO, NAUSEE, SANGUINAMENTI E, IN CERTI CASI, LA MORTE. MA PERCHé LA RU486 DOVREBBE ESSERE LA PANACEA PER LE DONNE QUANDO è GIà STATO DIMOSTRATO QUANTO SIA NOCIVA?

Giocando per un attimo a far l’amico del giaguaro e ragionando sul filo beffardo del paradosso Luigi Frigerio dice: «La Ru486 è un buon medicinale sì, ma per il Terzo Mondo. Dove le sale operatorie non sono sterilizzate e si muore più facilmente per un’infezione che per un intervento chirurgico». Il ginecologo primario degli Ospedali Riuniti di Bergamo esce un attimo dalla provocazione per chiarire che per lui «la Ru486 è semplicemente una kill pill, una pillola killer», ma poi si rimette il camice del dottore e argomenta il suo paradosso: «Al di là che uno sia abortista o antiabortista – come nel mio caso – bisogna stare ai dati di fatto relativi a questo farmaco e a quanto la letteratura medica internazionale è già stata in grado di appurare». Per il primario, il gran battage che in questi ultimi tempi si sta facendo per promuovere l’utilizzo della Ru486 nei nostri ospedali è figlio «dell’interesse di qualcuno a far carriera politica, non certo per aiutare le donne e il progresso dell’arte medica».
Il Foglio prima e il New York Times poi hanno dato grande rilievo alla notizia che in California – solo dal settembre 2003 al giugno 2005 – siano state accertate quattro morti per shock settico provocato dalla pillola. I casi sono stati denunciati in una nota della “Food and drugs administration” americana dopo che, circa due anni fa, la diciassettenne Holly Patterson era deceduta per aver ingerito il farmaco. Per Frigerio questi tragici eventi sono una conferma di ciò che si sa già, e cioè che «la Ru486 non è la pillola del progresso così come ce la si vuole presentare». L’elenco dei motivi è lungo quanto l’elenco degli effetti collaterali: «Nel giro di poche ore – meno di quattro – nell’86 per cento dei casi inizia un sanguinamento. Nei primi tre giorni (95 per cento dei casi) la donna soffrirà di forti crampi alla pancia, due su tre di loro avranno nausee importanti, la febbre, i brividi (1 su tre)». Un terzo delle donne che hanno fatto uso di Ru486 soffrirà di «vertigini, avrà il vomito e un forte mal di testa. Un venti per cento soffrirà di diarrea».
L’aspetto su cui si sofferma di più Frigerio è la perdita di sangue che si verifica «con una mediana di 17 giorni. A seconda dei casi può terminare dopo tre giorni ma anche dopo 62». L’aspetto ha una sua importanza perché «il 68 per cento delle donne ritiene che tale sanguinamento necessiti dell’assistenza di un medico». Così va a finire che «ciò che si vuole cacciare dalla porta (l’intervento abortivo chirurgico) rientra dalla finestra in termini di servizi di pronto soccorso, prelievi del sangue, visite ginecologiche, ecografie».
A tutto ciò va aggiunte quel 10 per cento di casi per cui «molte donne necessitano, comunque, dell’intervento chirurgico anche dopo l’assunzione della Ru486, e quei tragici casi – come per Holly Patterson – in cui sono rimasti frammenti che hanno provocato infezioni, shock settici, morte».
A lui, dunque, medico noto alle cronache per le sue battaglie antiabortiste alla Mangiagalli di Milano ai primi tempi della legge 194, tocca addirittura di “difendere” («lo scriva tra virgolette, solo per rendere l’idea») la “sicurezza” dell’aborto chirurgico («lo scriva tra doppie virgolette») di fronte «a questa fiaba secondo cui la Ru486 sia una pillola sicura, efficiente, moderna, indolore».

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