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«Un paese che non cresce non può ripagare i suoi debiti». Lezione messicana per la Ue

Né austerità né tagli. Il New York Times spiega come il paese centroamericano seppe risollevarsi dalla crisi negli anni Ottanta. «La soluzione a troppo debito è non più debito»

Redazione
11/04/2013 - 13:44
Esteri
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Gli Eurobond per salvare le economie di Portogallo, Irlanda, Italia, Grecia e Spagna dal default. Proprio come avvenne in Messico nel 1990 con i “Brady bonds” di marca statunitense. Perché «un paese che non cresce non può ripagare i sui debiti» e «spetta anche ai suoi creditori permettergli di crescere». È questa, in sintesi, secondo il New York Times, la “lezione messicana” che i leader dell’Europa, soprattutto i «tesorieri a Berlino», devono imparare se davvero vogliono avvicinarsi alla luce in fondo al tunnel per uscire dall’eurocrisi.

PERPLESSITA’. Ma perché questa soluzione possa funzionare servirebbe, quantomeno, una ferrea volontà di cooperazione da parte dell’intera Unione europea. E Nicholas Brady, l’allora segretario del Tesoro americano, chiedendosi se davvero un “piano Brady” potesse funzionare anche per l’Europa, si era già risposto, tre anni or sono, dicendo: «Non ne sono sicuro. Il livello di cooperazione richiesto non si raggiunge né per caso né facilmente».
Il livello di cooperazione cui si riferiva era quello raggiunto da Messico e Stati Uniti in piena Guerra Fredda, e che portò l’America a varare il Piano Brady, soprattutto per timore che Messico, in ginocchio economicamente e politicamente, passasse sotto la sfera di influenza sovietica.

IN GINOCCCHIO. Prima, un passo indietro. Il Messico degli anni Ottanta si trovava, secondo il Nyt, in una situazione molto simile a quella delle economie europee oggi più in difficoltà. Il pagamento degli interessi sul debito aveva abbattuto circa due terzi delle entrate dell’export (principalmente legate al petrolio) e il valore del peso cominciava a precipitare. La Federal reserve statunitense, per frenare l’inflazione negli Stati Uniti, decise di alzare i tassi di interesse aumentando così i pagamenti di interessi per il Messico e i prezzi del petrolio precipitarono.
Ma il presidente José López Portillo decise di difendere il peso ad ogni costo e il suo successore, Miguel de la Madrid, ricorse ai prestiti delle banche commerciali, degli Stati Uniti e del Fondo monetario internazionale. In cambio promise di tagliare gli stipendi ai dipendenti pubblici, i sussidi e di vendere qualche impresa statale, aprendo i confini al commercio estero.

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IL PIANO BRADY. Tutto questo non funzionò. Il debito pubblico crebbe velocemente, raggiungendo il 56,5 per cento del prodotto interno lordo, che era precipitato di 8 punti percentuali in sei anni. E ci vollero sette anni prima che il presidente Carlos Salinas de Gortari concluse, nel 1990, l’accordo con Brady che prevedeva la sostituzione nelle banche di bond messicani con i “Brady bonds”, coperti da titoli del tesoro americani, con l’effetto di ridurre i tassi di interesse e riportare i capitali nel paese.
«Il problema era che c’era troppo debito», spiegò Brady. E «la soluzione a troppo debito è non più debito». Così l’economia del Messico crebbe del 4 per cento. Non succedeva dal 1981.

OBIEZIONI. Ma non è così semplice fare il parallelo con l’Europa e l’Eurozona. Infatti, fa notare sempre il Nyt, il pacchetto per la riduzione del debito di cui poté godere il Messico, fu pari solo al 50 per cento dell’ammontare dei prestiti ricevuti dalla Grecia. E, ricordano gli economisti, il Messico aveva un vantaggio: poteva svalutare liberamente la sua moneta per guadagnare competitività sull’export. Una cosa che i paesi europei in crisi non possono fare perché vincolati all’Euro.
Quello che è certo, però, e che il caso del Messico ricorda a tutti che «un paese che non cresce non può ripagare i sui debiti» e «spetta anche ai suoi creditori permettergli di crescere». Una lezione che vale anche per l’Europa, a cinque anni dall’inizio della crisi.

Tags: crisi eurocrisi eurozonadebito pubblicoeurobondmessico
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