I punti di forza del governo Draghi sono almeno due. Il nuovo inquilino di Palazzo Chigi non usa Twitter, il social che ha rovinato Trump. E, a quanto è dato di sapere, non usa neanche altri social. Inoltre ha una moglie, donna, che da una foto pubblicata sui grandi rotocalchi mostra essere solida e affettuosa come sono le nostre donne. Il secondo punto di forza è che, stranamente, la maggioranza dei suoi ministri sono lombardi. Non succedeva dall’epoca di Carlo Cattaneo e delle Cinque giornate di Milano.
Bando alle ciance e battute a parte, l’Italia può finalmente scommettere un pochino su personalità che non si sono formate esclusivamente sotto il vischio dei poteri romani. I quali naturalmente permangono occhiutamente nella quinta essenza governativa – Banca d’Italia, brasseur d’affaires di Stato, grembiulini – sotto la dizione “tecnici” o “migliori” che dir si voglia. Per inciso, visto che i giornali sono entusiasti dell’idea di una cosa che per fortuna l’intelligenza del “Sistema” ha capito bisognava sventolare in teoria ma accuratamente evitare in pratica, pena il sacrificio dell’eroe Draghi lasciato in stampelle a combattere la situazione da terzo mondo dell’Italia al trentennale delle Mani Pulite – cioè l’esclusione dei partiti, “i partiti lasciati al buio”, “i politici che non toccano palla” – non sorprende che il Quarto Potere abbia così a cuore la Costituzione da esultare per la rinata monarchia che assegnerebbe all’inquino del Quirinale poteri extracostituzionali. Esultare per un “monarca” (naturalmente ben sostenuto da un privatissimo Gabinetto di grand commis e funzionariato ministeriale) che può impedire nei fatti lo svolgimento di libere elezioni, condizionare il raggio di azione dei partiti, surrogare quello che dovrebbe essere la logica conseguenza di un voto popolare, il Governo, con la nomina di propri “tecnici” o “migliori” o “aristoi”. I quali a loro volta cooptano i ministri – entusiasti i giornali – “scelti da Mattarella e Draghi”, come se i due fossero rispettivamente il Re e l’intendenza reale.
Se ci pensate bene non esiste al mondo una situazione istituzionale tanto fattualmente grottesca quanto quella italiana. Anche sotto questo profilo Mario Draghi si è mostrato più democratico e costituzionalmente più sensato dei suoi devoti fans della premiata grande stampa e tv democrat. Di qui però si capisce anche il lieve ma persistente retrogusto di amaro davanti a una stagione che non finisce mai e che, a principiare di anno 2021, ci porta l’ennesima pessima notizia dell’Italia fanalino di coda d’Europa. Ultima in tutte le classifiche. Da quinta potenza economica mondiale che fu ancora al principiare dell’anno “miracoloso” 1992 (il prossimo saran trent’anni, di “Mani pulite” italiane e italiani privati delle mani in ogni comparto – giacché tutto è fermo tranne le carte anticorruzione, le fine prescrizione mai, i privilegi, le opacità e la corruzione di una Giustizia teoricamente perfetta e praticamente da colonnelli argentini, che ha ucciso tutto ciò che respira in questo ex Belpaese).
Per inciso finale è interessante notare lo strano paradosso per cui Silvio Berlusconi, lo stesso che è stato vittima del sistema della “Costituzione come gli pare e piace al partito Stato romano”, sia il principale suggeritore e azionista del governo Draghi. Ma chissà quale dev’essere oggi il retrogusto del fondatore e leader, acciaccato ma ancora formidabile, di Forza Italia. Provate a pensarci e dite se non è così: il retrogusto dell’unico leader che negli ultimi trent’anni è andato al governo come conseguenza di libere elezioni. In effetti, oltre a Berlusconi, di eletto dal popolo italiano, dal ’92 ad oggi, c’è stato solo Il governo dell’Ulivo (1996) e il contestato Prodi del 2006 (vittoria per poche migliaia di voti a fronte della denuncia di brogli nel voto all’estero – denuncia che fu documentata da Tempi, raccolta e insabbiata poi dalla Procura di Roma).
Il resto è stato frutto di mosse, giochi, colpi di Palazzo all’ombra di una giustizia che il libro e le chat Palamara documentano di che razza sia. L’ultimo golpe contro il voto popolare fu quello via scandalo Ruby e via manine di Obama e Merkel (con lo spread pompato dalla svendita sui mercati finanziari dei titoli di Stato italiani), dieci anni fa, che fece fuori il governo (ancora una volta, come sempre, Berlusconi), il più votato nella storia del dopoguerra. Paradosso nel paradosso, grazie anche alla tenace, generosa, intelligente, tessitura del gigante di Arcore adesso arriva questo Mario Draghi (per altro nato cresciuto e battezzato in Europa di nuovo dal l’orrido Silvio). Governo di “salvezza” o – perlomeno – di “speranziella” nazionale.
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