Un easy-rider in bici racconta

Di Zottola Amedeo
02 Agosto 2001
«In tempi di emoglobina sintetica e ormone della crescita, uno che si veste da ciclista e pedala da solo per 1500 chilometri, sulle Alpi, in nove giorni, da Ventimiglia a Trieste, un po’ per cercarsi, un po’ per divertirsi e un po’ perché è pirla, può fare notizia». Parola di Amedeo Zottola, cicleur e insegnante, che ci ha fatto leggere il suo diario di bordo di un agosto così. Ecco alcuni passi… di Amedeo Zottola

1a tappa: Ventimiglia-Bersezio, 140 km ca.

Non ho praticamente chiuso occhio. Ho rifatto, mentalmente, il bagaglio almeno cinque volte. Zainetto, caschetto, K-Way, calzoni lunghi di tela, maglia in capilene, sandali con suola in vibram, un paio di slip, una maglia e un paio di calzoni da ciclista di ricambio, un paio di calzoni da ciclo lunghi, due camere d’aria, un copertoncino, pompa, penna, agenda, macchina fotografica, spazzolino, dentifricio, rosario, coltellino multiuso, documenti. Sei chili di bagagli sulle spalle. Troppi? Cosa eliminare? Ho ripensato ai rapporti. Ho fatto bene a togliere il 14 e a mettere il 28? Non dovevo farmi mettere la tripla, davanti? «Amedeo, chi te lo fa fare? Puoi ancora rinunciare. Vedi qualcuno dei tuoi amici che fa queste cose? Moglie, figli, casa, qualche risparmio, le vacanze al mare: non ti basta?» No, cazzo, non mi basta! E non so neanche perché! Finalmente alle cinque mi alzo, chiamo Loredana che mi accompagnerà a Ventimiglia e carico il Berlingo. Saluti, baci, incoraggiamenti, raccomandazioni e via, verso il Colle di Tenda. Attraverso il traforo, scendo a Limone, Borgo San Dalmazzo e punto verso il Colle di Maddalena (Col de Larche), salendo lungo lo Stura di Demonte. Da Vinadio in poi, ho iniziato a pensare a mio padre, inchiodato da un ictus bastardo nella prigione della mancanza di memoria e della confusione mentale. L’ho rivisto tre giorni prima di partire per quest’impresa e adesso che gli voglio bene, dopo tanto odio e insofferenza, non posso farglielo capire.

Sono ormai a 15 km dal colle, ma sono stanchissimo. Arrivo a Bersezio e non c’è una pensione. Chiedo ospitalità: niente. Alla fine, trovo da dormire alla pizzeria, ristorante, discoteca “Il Drago verde”. Ho l’inguine in fiamme, sono sempre sull’orlo di una crisi di fame ed è un casino trovare da dormire; ce la farò ad arrivare a Trieste? Oggi è il giorno dell’Assunta, adesso vado a Messa, domani si vedrà.

2a tappa: Bersezio-Susa, 145 km ca.

Ieri ho mangiato: 9 snack, 6 panini con la bresaola, un etto e mezzo di focaccia, due piatti di pasta, una bistecca, pane. Ho bevuto una birra media e durante il tragitto sei o sette borracce d’acqua. Appena aperto il minimarket, ho comprato pane, uva, prosciutto e banane: ho inserito il rapporto 38 x 23 e sono partito. A 3 km della vetta, metto il 28 e arrivo senza molta fatica. C’è un bel laghetto e un gregge di pecore che pascola nelle vicinanze e dà un’impressione di pace che scompare appena osservo i volti dei pastori. Dura il tempo che intercorre tra l’impatto visivo e la consapevolezza che questo luogo rappresenta più di un altro il mio desiderio di pace e serenità. Indosso il K-Way e scendo verso St. Paul. Attacco la salita per il Col di Vars. È dura di brutto. Pedalo a ginocchia larghe per il dolore. Arrivo in cima affaticato e mi aspetta il Monginevro. Mi piacerebbe portare con me De Mauro, Vertecchi e il mio preside per far capire loro che cosa è davvero un percorso formativo. Scendo. Buco. Cambio la camera d’aria. Riparto. Faccio forse un km… Cazzo, ribuco. Sicuramente un mio errore. Ricambio. Fa caldo. Risalgo e spingo in discesa, ho perso troppo tempo. Vicino a Guillestre si rompe un raggio che, visto che oggi non sapeva cosa fare, cerca di arrotolarsi attorno alla forcella posteriore. Scendo, stacco il raggio rotto e proseguo con la ruota che balla leggermente. Arrivo a Brançon e cerco un ciclista che ripari la ruota. Dovrei arrivare a Susa entro sera. Non posso farci niente. Non farei le vacanze a Briançon neanche se mi pagassero: sembra di essere in una macro piazza Maciachini di Milano. A Susa c’è l’Hotel Stazione. Bingo! C’è posto. Salgo in camera: doccia, bucato quotidiano della maglia e dei calzoni e spegnimento dell’incendio all’inguine. Lo chef, ecclettico e simpatico, dalla corporatura imponente, mi ha detto che lui ama cucinare il “fassone”, bue cuneese dalle carni pregiate. Me ne parlava davanti a una bella schiera di bottiglie di vini piemontesi. Penso che tornerò a fagli visita, in macchina.

3a tappa: Susa-Bourg St. Maurice, 135 km ca.

Susa ha un grave difetto: è solo a 503 m. sul livello del mare. Moncenisio (2083 m.), Iseran (2770 m.), Piccolo San Bernardo (1991 m.): oggi mi aspetta una giornata durissima. Sono stanco prima ancora di partire. Perché sto facendo questo tour un po’ folle? Forse come Innocenzo Smith nelle Avventure di un uomo vivo di Chesterton devo giungere al paradosso, devo andare via, devo girare per ritrovare il senso di quello che è “casa”.

4a tappa: Bourg St. Maurice-Vercelli, 200 km ca.

Sono arrivato con fatica al Piccolo san Bernardo. Le ginocchia mi fanno male anche pedalando in discesa. Ma l’alternativa è la strada ferrata e il fallimento. A Pont San Martin mi fermo a bere a una fontana e su una panchina a essa adiacente, si gode l’ombra un anziano signore che, alla mia sofferenza per il vento fastidioso, risponde dicendo che quel vento del sud in Valle c’è quasi tutti i giorni e lo chiamano “aria”.

Riparto, passo da Ivrea e Viverone, mi accodo a un anziano ciclista al quale chiedo, miseramente, di poter “ciucciare la ruota”. Accetta. Si chiama Carlo e ha dieci gatti. Pensionato, si sciroppa 15.000 km l’anno in bici. Niente male. Mentre chiacchieriamo, nel tardo pomeriggio, tra qualche prostituta nigeriana e il riso che sta maturando, si leva il volo di molti aironi, che, per il poco traffico, si avvicinano alla strada. Vercelli è deserta. Domani andrò a Barzago, a casa e farò tappa lì, essendo comunque sulla strada del Maloja.

5a tappa: Vercelli-Barzago, 120 km ca.

Sono partito alle 8 da Vercelli. Le ginocchia continuano a dolermi. Alle 10 c’è già un caldo mostruoso. Alle porte di Milano devio per Rho e mi perdo nell’intrico delle segnalazioni. Dopo aver girato come una trottola per mezz’ora, m’infilo per Saronno e compro un melone gigante che mi mangio ai margini della strada in un nanosecondo. Non trovo fontane. Se le fontanelle dovessero dare la misura dell’ospitalità, qui saremmo prossimi a zero. C’è tutto, tranne loro. Finalmente arrivo a casa: baci, abbracci e una bella costata. Passo tutto il pomeriggio con il ghiaccio sulle ginocchia e l’Aulin nello stomaco.

6a tappa: Barzago-Taufers, 210 km ca.

È una giornata luminosa. Mi avvio con cautela, ho paura che mi saltino le ginocchia, ma, via via che procedo verso Chiavenna, acquisto sicurezza. Sicuramente mi è stato d’aiuto l’aver incontrato due ciclisti ai quali ho succhiato la ruota da Mandello del Lario a Pion, pedalando con il 39 x 15 a buona velocità. A Vilal di Chiavenna mi fermo a mangiare, su una panchina di fianco a una cappelletta dedicata alla Madonna, il mio solito pane e prosciutto e mi scolo una bella birra. Mentre mastico di gusto, un passante con una padella in mano mi si avvicina e dice: «Eh, adesso io vado a casa e mi mangio questo buon spezzatino», facendomi intravedere il contenuto. Gli ho consigliato di accompagnarlo con una buona bottiglia di Sassella. Aveva voglia di parlare e stare in compagnia, e se non fosse stato per un residuo di diffidenza mi avrebbe invitato a pranzo. Salgo sul Maloja, punto su Silvaplana e St. Moritz che, con i loro laghi, sono talmente belle che sembrano finte o forse sono talmente finte che sembrano belle, come certe donne di spettacolo sui cui corpi non riesci a capire dove finisca la mano del Padreterno e inizi quella del chirurgo. Continuo. Zernez e Parco Nazionale Svizzero. Scollino ed entro in Val Mustair che è talmente bella e ordinata che fa incazzare. Supero il confine a Taufers, Alto Adige. Mi sembra, dopo il buio dei gironi scorsi, d’intravedere il Molo dell’Audace a Trieste.

7a tappa: Taufers-Brunico, 170 km ca.

Colazione da Mille e una notte alla Gasthof Lamm di Taufers: marmellate, yoghurt che sa di yoghurt, vari tipi di cereali, salumi tra cui uno speck superbo e un profumatissimo cacciatorino, pane con il kummel, succhi di frutta e caffè d’orzo. Sono talmente contento che le ginocchia mi fanno meno male. Parto e raggiungo Glorenza. Il tragitto verso Merano è costellato di centinaia d’irrigatori che, irrorando i meleti, creano suggestivi giochi d’acqua. Poco dopo Sludern prendo una buca, foro e rompo un raggio. Fine dell’atmosfera idilliaca. Cambio la camera d’aria e procedo con la ruota che balla. A Naturno c’è una coda d’auto lunga km e km. Mi fanno pena gli automobilisti, perché in un posto così la coda è un atto contro natura. Ho ribattezzato Naturno in Snaturno. Il caldo è micidiale, ma non posso fermarmi perché ho già perso troppo tempo. Supero Bolzano. Sono rientrato nello stato semipnotico che mi consente di sopportare dolore e fatica. L’obiettivo è raggiungere Brunico. Verso le 18:30 arrivo e vado oltre. Eccomi, Gasthof Sonnblick. Il titolare mi chiede perché ho il rosario sul manubrio della bici. «Perché lo uso», gli rispondo. Ne tira fuori uno dalla tasca: «Anch’io».

8a tappa: Brunico-Cormons, 230 km ca.

Parto con il desiderio di fare più strada possibile. In un angolo del cervello c’è l’idea di percorrere in un colpo solo i 270 km circa che mi separano da Trieste. Dovrei andare fortissimo, sperando che il tempo rimanga bello sul Gailberg Sattel e sul passo del Monte Croce Carnico e che le ginocchia non mi tradiscano. Si viaggia bene e a San Candido arrivo abbastanza in fretta. Prendo da mangiare e riparto. Varco il confine e mi avvio verso Lienz. Giunto a Lienz, un vento contrario fastidioso mi costringe a rallentare. A Oberdrauburg pranzo e, osservando la piazza del paese, ho l’impressione che l’impero asburgico esista ancora. Si respira, nell’aria, una paciosa tranquillità. Verso il Gailberg Sattel, il vento scompare e si può pedalare con vigore tra i bei boschi che costeggiano la strada. Scendo a Kotschach-Mauten e da lì in poi la strada si fa durissima.

Le nubi oscurano il sole e i boschi da ridenti si fanno ostili. Ai margini della strada un’anziana turista dorme, o forse medita, su una poltroncina pieghevole a pochi metri da un cimitero dove pure dormono soldati austriaci caduti durante la prima guerra mondiale. 39×28 ti adoro e se avessi il 39×30 non mi lagnerei. La strada in alcuni punti è sterrata per lavori in corso e anche a causa della pendenza, a volte, la ruota anteriore slitta. Il peso dello zaino e la stanchezza che inizia a farsi sentire non mi consentono di alzarmi sui pedali. La fatica non finisce mai. Salendo intravedo delle grandi pale di un genere eolico e capisco che sono prossimo a scollinare. In cima al passo, triste e senza orizzonte, m’infilo il K-Way e mi butto in discesa.

A Timau mi devo fermare perché il sole è rispuntato e, se non tolgo la giacca a vento, mi sciolgo come una medusa fuori dall’acqua. Il vento ha ripreso a soffiare forte e… tutto qui sembra intenso. I colori del Tagliamento e il biancore dei sassi del greto, il caldo e forse il freddo, d’inverno. Il nero dell’asfalto inghiotte la luce e vomita il calore. Ho sempre sete. Pedalo, pedalo in automatico. Gemona, Tracento, Tricesimo, Udine. A Udine, mi fermo a comprare una macchina fotografica “usa e getta” perché, sul Passo, l’Olympus è caduta e si è rotta. Pedalo, pedalo in automatico. Sta venendo sera e capisco che a Trieste oggi non arriverò. Mangio una pizza, bevo una birra e chiedo informazioni per pernottare. Mi mandano a Cormons.

9a tappa: Cormons-Trieste, Molo dell’Audace, 50 km ca.

Mi godo i pochi chilometri che mancano. È fatta. Arrivo al Molo dell’Audace, foto di rito, caffè in un bar e via, in stazione. Alle 12 c’è il treno che mi porterà a Milano, via Mestre. Mi sistemo nel vagone sui cui ho caricato la bicicletta. Sono da solo.

Godo i vigneti che sfilano veloci e il mal di gambe che sembra arrivare da lontano. Dovevo alla mia vita quello che ho fatto in questi nove giorni. Alle 19 arrivo in centrale. Salgo in bici e torno a Barzago, in Brianza. 50 km, in fondo non sono poi tanti.

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