Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «Mi auguro che persone di questa grandezza umana non manchino mai nella Chiesa di Dio» ha scritto papa Benedetto XVI nella lettera di saluto per l’uscita di Ubi fides ibi libertas. Scritti in onore di Giacomo Biffi (Cantagalli).
L’aspetto più interessante di questo libro che esce a un anno dalla scomparsa è la ricchezza di aneddoti riportati in ogni intervento. Ve ne sono di notevoli: Francesco e Caffarra, Ferrara e Bersani, Giussani e Scola. L’aspetto singolare è che, pur nella specificità di ogni punto di vista, tutti riportano una frase, un episodio, un motto con cui il cardinale li ha colpiti. Da tutti trasuda ammirazione, affetto, amicizia.
Forse non è solo un’impressione del recensore. L’allegria e il buonumore erano caratteristiche di Biffi che non dipendevano solo dal carattere. Lo spiega un saggio di padre Carbone e l’intervista che Biffi stesso rilasciò a Sandro Magister: «Io amo l’umorismo vero. L’umorismo non si fa travolgere dalla vicenda e nello stesso tempo vi partecipa. I due elementi legano difficilmente e per questo sono merce rara. Tant’è vero che riesce bene solo a Dio».
Doveva essere proprio in base a questa consapevolezza che a Biffi riusciva sempre di spiegare le “cose di lassù” senza rinunciare a una magnanima comprensione per il limite di chi s’arrabatta “quaggiù”. Poneva instancabilmente la verità cristiana, anche in maniera audace, ma senza mai impiccare l’interlocutore al cappio del ricatto morale. «Il senso dell’umorismo – diceva – è il fondamento e il vertice di una seria vita religiosa».