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Ultimo appuntamento con Terre Vulnerabili, all’Hangar Bicocca
“L’anello più debole della catena è anche il più forte perché può romperla“: questo é il titolo della quarta ed ultima mostra della growing exhibition Terre Vulnerabili che da oggi prende il via negli spazi della sede milanese dell’Hangar Bicocca. Un titolo che si configura come la dichiarazione più intensa e significativa dell’intera esposizione e sottolinea come la vulnerabilità rappresenti anche una forza che non bisogna temere, ma assecondare e accettare.
Le opere di quattro nuovi artisti si aggiungono alle composizioni precedenti. Si tratta dello slovacco Roman Ondák, che presenta il video “Resistance“, del camerunese Pascale Marthine Tayou che ricostruisce la sua “Plastic Bags” – un’opera esposta nel dicembre 2010 alla Queensland Art Gallery di Brisbane in Australia costituita da un cono rovesciato costituito da diecimila sacchetti di plastica biodegradabili in cinque colori diversi (bianco, blu, giallo, rosso e verde) -, del giamaicano Nari Ward che costruisce “Soul soli” – un grande contenitore ovale da cui traboccano resti di oggetti abbandonati, materiali di recupero, parti in ceramica di sanitari e alcuni dei vestiti usati provenienti dall’installazione di Christian Boltanski dello scorso anno -, e l’italiano Alberto Tadiello che descrive la sua installazione composta da una colonna spigolosa inclinata in un equilibrio vulnerabile con queste parole: «Un grumo di forze. Di aggettanza, di torsione, di urto, di trazione, di spinta. Di isolamento, di deformazione, di dissipazione, di accoppiamento, di riunione, di separazione. È solo metallo, ferro. Tagliato, smussato, graffiato, bucato, piegato, imbullonato».
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