La lotta di potere tra Michel e von der Leyen indebolisce l’Ue

Di Rodolfo Casadei
18 Giugno 2021
Il "sofa-gate" ha dimostrato che Bruxelles ha un problema. La guerra per rivendicare lo scettro di guida dell'Unione Europea ci rende fragili
I due

Quando entusiasmi e scetticismi relativi all’«America is back!» pronunciato a ripetizione da Joe Biden sul suolo europeo durante la sua visita si saranno sedimentati, il summit Usa-Ue del 15 giugno sarà probabilmente ricordato per la tregua di cinque anni – che potrebbe trasformarsi in trattato di pace definitivo – concordata fra europei e americani in relazione al conflitto commerciale che coinvolge Boeing e Airbus, che ha scatenato sanzioni incrociate sotto forma di dazi fra Usa e paesi dell’Unione Europea.

Tra Michel e von der Leyen è guerra

Ma potrebbe anche passare alla storia come il primo in occasione del quale il presidente del Consiglio Charles Michel e la presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen non si sono pestati i piedi. In questo caso, però, è quasi certo trattarsi solo di una tregua e non di una fine delle ostilità. Perché il problema non sta tanto nelle personalità ambiziose dei due quanto nell’architettura sghimbescia del trattato di Lisbona (entrato in vigore nel 2009) che definisce i loro rispettivi compiti.

La von der Leyen ha voluto far credere che il “sofa-gate” di Ankara dell’aprile scorso sia stato il prodotto del maschilismo esibito di Erdogan (che aveva appena portato la Turchia fuori dalla Convenzione di Istanbul contro la violenza sulle donne) e del maschilismo occulto di Michel, oltre che di una mancanza di rispetto per le istituzioni europee. In realtà al presidente della Turchia si possono rimproverare molte colpe, ma non quella che il protocollo del suo ufficio di presidenza si sia comportato in base a criteri sessisti: che l’Unione Europea all’estero sia rappresentata dal presidente del Consiglio europeo, e non dal presidente della Commissione, è scritto nel Trattato di Lisbona. La verità è che la von der Leyen ha approfittato dell’incidente di Ankara per mettere a segno dei punti nella lotta di potere che la contrappone a Michel sin da quando i due sono entrati in carica, l’1 dicembre 2019, e che è ricca di episodi.

Cosa prevedono i trattati dell’Ue

I trattati prevedono una ripartizione complessa dei ruoli. Il presidente del Consiglio rappresenta l’Unione Europea per le «materie riguardanti la politica estera e di sicurezza comune» negli incontri con capi di Stato e di governo extra-Ue, e presiede le cinque riunioni annuali del Consiglio alle quali partecipano tutti i capi di Stato e di governo che servono soprattutto a definire gli orientamenti generali della politica estera della Ue. Ma è la Commissione ad avere la responsabilità del risvolto esterno delle politiche comunitarie e a gestire il bilancio, cioè i cordoni della borsa del denaro.

Quindi a un vertice come quello di Ankara doveva certamente partecipare la presidente della Commissione, perché le compete negoziare accordi internazionali su temi come l’unione doganale fra Ue e Turchia e la questione dei flussi migratori. Ma poi le decisioni politiche finali saranno prese a livello di Consiglio Europeo, cioè di capi di governo e ministri degli Esteri dei paesi della Ue, ed è per questo che ad Ankara doveva esserci pure Michel. Ma chi, in una circostanza come quella, doveva essere il numero uno e chi il numero due? Secondo Le Monde «un accordo istituzionale dell’1 marzo 2011 stabilisce effettivamente che il presidente del Consiglio viene prima di quello della Commissione».

Il pasticcio sull’Etiopia

Sia come sia, quando la von der Leyen è entrata in carica nel dicembre 2019 ci ha tenuto a dire che sotto la sua presidenza la Commissione sarebbe stata «una Commissione geopolitica», ed è subito passata dalle parole ai fatti recandosi la settimana seguente in Etiopia, in visita alla sede ufficiale dell’Unione Africana (Ua). Due mesi dopo Michel si è anche lui recato ad Addis Abeba in occasione del summit annuale dell’Ua e ha incontrato ministri e capi di Stato africani. Meno di tre settimane dopo la visita del presidente del Consiglio Europeo, la presidente della Commissione era di nuovo ad Addis Abeba, alla guida di una numerosa delegazione di commissari, per nuovi incontri con la Ua. Ma più verosimilmente per marcare il territorio.

Da quel momento tutti, africani ed europei, hanno capito che era in corso un conflitto istituzionale che aveva per oggetto la carica simbolica di “presidente d’Europa”. Al summit di Berlino del 19 gennaio 2020 sulla crisi in Libia la Ue si è trovata rappresentata da tre voci: i due presidenti Michel e von der Leyen e l’Alto rappresentante per gli Affari esteri Josep Borrell. Solo al primo fu concesso di parlare a nome della Ue, mentre la von der Leyen e Borrell rilasciarono una dichiarazione scritta congiunta. Dopo di allora gli incidenti sono proseguiti: recentemente la von der Leyen ha rifiutato di prendere parte a un documentario sui summit della Ue, concentrato in particolare sul vertice di luglio dedicato al budget, perché il suo team è convinto che si tratti di un’iniziativa propagandistica a vantaggio di Michel.

L’Unione Europea è debole

Quando costui ha proposto, nell’estate del 2020, un nuovo trattato internazionale sulle pandemie, la presidente della Commissione ha rifiutato di firmare la proposta (che invece è stata sottoscritta dall’Oms e da una ventina di capi di governo fra i quali Emmanuel Macron, Angela Merkel e Mario Draghi). In quella stessa estate si sfiorò l’incidente in relazione ai negoziati della Brexit, allorché si doveva determinare chi avrebbe dibattuto con Boris Johnson in videoconferenza. Alla fine si decise che tutti e tre i presidenti – della Commissione, del Consiglio e del Parlamento – sarebbero intervenuti. Subito dopo l’incidente di Ankara, e poco prima della scena madre della von der Leyen davanti agli europarlamentari, il suo capo gabinetto aveva risposto negativamente a un invito del presidente ucraino a una celebrazione dell’indipendenza, preso atto che era stato invitato per primo (e aveva accolto l’invito) Michel. Da tempo i detrattori della von der Leyen fanno circolare la battuta secondo cui la sua non è una Commissione geo-politica, ma ego-politica.

Il problema, in tutto questo, è evidentemente la compromissione della credibilità istituzionale della Ue a livello internazionale. Correggere i trattati per ridurre al minimo le sovrapposizioni fra Commissione e Consiglio è una strada ardua e lunga da percorrere, che nel frattempo indebolirebbe i presidenti già in carica. Per adesso si può solo confidare in un soprassalto di senso di responsabilità degli interessati: viene in mente che il ridicolizzato Jean-Claude Juncker non ha mai avuto grossi problemi con Donald Tusk. Loro riuscirono a sedersi ai lati di Erdogan, in un incontro ai margini del G20 in Turchia, senza litigare come scolaretti che si contendono la fascia di capoclasse.

@RodolfoCasadei

Foto Ansa  

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