Ucraina, che cosa vuol dire che l’Italia può essere un “paese garante”

Di Piero Vietti
03 Aprile 2022
Gli auspici degli ucraini per un coinvolgimento del nostro paese sono difficili da mettere nero su bianco. Per la pace «servono verità, giustizia, libertà». Intervista all'ex ministro della Difesa Mario Mauro
Negoziati pace paese garante
La delegazione russa e quella ucraina si sono incontrate in Turchia nei giorni scorsi (foto Ansa)

«L’Italia è disponibile a contribuire agli sforzi negoziali in atto, nel ruolo di garante in possibili soluzioni di neutralità per l’Ucraina e offrendo la propria esperienza in tema di modelli di tutela delle minoranze», ha detto venerdì il ministro degli Esteri italiano, Luigi Di Maio. «La cosa positiva è che l’Italia è stata richiesta come paese garante sia dall’Ucraina, che dalla Russia, ieri», aveva detto il premier Mario Draghi il giorno prima, spiegando che il «contenuto esatto di queste garanzie è ancora presto per definirlo. Dipenderà dai negoziati tra Russia e Ucraina. Saranno garanzie che le clausole negoziate siano attuate».

Che cosa vuol dire essere un «paese garante»

Il ruolo dei paesi garanti di cui si parla in questi giorni di trattative non è ancora definito, ma sulla carta «è un sistema già utilizzato in altri accordi, tra cui anche il Protocollo di Minsk», siglato nel 2014 per porre fine alla guerra dell’Ucraina orientale, dice a Tempi l’ex ministro della Difesa Mario Mauro. Che spiega: «Nella volontà degli ucraini, avere un “paese garante” dei trattati di pace significa che nel momento in cui gli accordi non venissero rispettati quel paese si deve schierare al loro fianco, anche militarmente. Ecco perché penso che mettere nero su bianco una cosa del genere sia molto impegnativo, perché comporterebbe l’esistenza di una Nato in sedicesimi, specialmente nel caso in cui i garanti venissero individuati tra paesi che non appartengono alla stessa sfera di influenza geopolitica».

Ma è presto per dire cosa comporterà un ruolo del genere: «Può avere una implicazione massima o minima, a seconda di cosa verrà scritto nei trattati. In questo momento la richiesta è soprattutto ucraina, i russi non hanno troppa simpatia per il principio dei paesi garanti perché nella visione di Mosca i garanti sono loro». Al momento, però, con la guerra ancora in corso, sembra complicato anche solo far passare il principio «vieppiù se tra questi», esemplifica Mauro, «venisse indicato il Regno Unito, che ha una visione che differisce dalla prospettiva di pace verso cui sembrano orientarsi i paesi europei, e cioè un negoziato che si conclude con cessioni territoriali. Cosa che per il Regno Unito non solo è inaccettabile ma fa tornare in mente l’errore di Chamberlain con Hitler che aprì la strada alla seconda guerra mondiale».

Il ruolo della Nato

Ma in tutto questo, il ruolo della Nato quale sarebbe? «La Nato non è garante di alcunché», spiega Mario Mauro, «è un’alleanza militare difensiva che interviene nel momento in cui un paese membro non solo è attaccato, ma quando in modo indiretto un accadimento in un paese terzo lo minaccia, per cui vengono in essere le condizioni per l’applicazione dell’articolo 5». Insomma in caso di pace con l’Italia che fa da garante dell’Ucraina, se la Russia invadesse di nuovo Roma dovrebbe intervenire militarmente, e dunque la Nato entrerebbe in gioco: terza guerra mondiale assicurata?

Mauro frena: «Stiamo parlando di un contesto nel quale vedo con molta fatica che si possa scrivere nero su bianco una formula di garante in questo senso. È l’ambizione ucraina, ma è uno degli elementi che rende difficile il processo di pace, che si deve reggere su tre principi: verità, giustizia e libertà».

I tre principi su cui si regge la pace

Verità, «perché nel processo di pace si creano quelle tensioni tipiche legate al fatto che lo stesso soggetto che ha cominciato la guerra non vuole che questo venga detto. Perché la Russia è così insistente nel dire che la sua è un’operazione militare speciale? Perché considera se stessa un peacekeeper, non un aggressore. La prima cosa che il processo di pace deve stabilire è la verità: se le ragioni dell’aggressore non solo sono sullo stesso piano di quelle dell’aggredito, ma addirittura si pongono come unico piano di interpretazione, vuol dire che chi vince militarmente racconta lui la storia, e questo è inaccettabile».

Poi c’è il principio di giustizia: «Nel 1994 la Federazione Russa ha siglato un trattato internazionale, l’accordo di Budapest in cui si impegnava, in cambio della restituzione dell’arsenale nucleare ucraino, a rispettare indipendenza e integrità territoriale di Kiev. Non ha mantenuto questa promessa: un processo di pace che non trovi una soluzione a questa questione di giustizia farà nascere una pace instabile che nel tempo produrrà nuovi conflitti».

Infine, il principio di libertà, «che oggi non è rispettato. Ci sono corridoi umanitari che obbligano gli ucraini ad andare verso la Russia invece che verso la salvezza. Per non parlare dei milioni di profughi in occidente, i quali certamente non hanno fatto una libera scelta, ma sono stati obbligati dalla guerra. Che libertà c’è in un processo di pace se le condizioni sono queste?».

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