
Caro direttore, quando giovedì sono entrata in aula con il mio bel progetto di lezione sono stata investita dai ragazzi che non riuscivano a pensare ad altro che all’attacco all’Ucraina.
Mi ha impressionato il desiderio di molti, di solito apparentemente distaccati, di non perdere quest’occasione per guardare in faccia la realtà.
È difficilissimo coinvolgere e appassionare questa classe, che paga caramente due anni di dad e l’impostazione di un sistema scolastico che avrebbe bisogno un rinnovamento da capo a piedi, ma se invece di fare diventare la fatica un alibi, guardo i ragazzi in faccia li scopro compagni di cammino, vibranti dello stesso desiderio di conoscenza e di vita piena che non riesco a strapparmi di dosso nemmeno un istante.
Per questo, invece di rincorrere il programma, abbiamo dialogato per un’ora intera, che è volata nonostante fosse l’ultima della giornata.
Da settembre mi spiegano ogni lezione quanto sia inutile per loro studiare la letteratura e la storia. Uno di quelli più accaniti sull’inutilità del mio insegnamento nel loro percorso professionale, dialogando, ha detto: «Ma prof, cosa pensano di fare gli ucraini contro i russi: tanto vale arrendersi subito e limitare i danni!».
Un’affermazione del genere mi impone di preparare le lezioni con più cura, di imparare meglio a comunicare loro perché quel che studiamo c’entra con l’oggi, con la vita quotidiana, con le scelte che fanno e che faranno; così mi sono incollata ai libri e al pc e lunedì incontreremo Catone, messo da Dante a guardia dell’Inferno perché come lui e tutti noi «libertà va cercando, ch’è sì cara, come sa chi per lei vita rifiuta». E insieme a Catone incontreremo Jan Palach e i ragazzi della Rosa Bianca e probabilmente arriveremo fino ad Hong Kong, da Joshua Wong.
Dentro il dolore lancinante per quel che sta accadendo, io so di avere un compito e che il mio contributo passa innanzitutto dal fare meglio che posso quel che mi è chiesto ora, dal tenere desta io le motivazioni per cui costringo i miei ragazzi ad un lavoro che per loro è una fatica immane, ma che sono certa sia un sacrificio necessario perché è quello che consente a ciascuno di diventare pienamente uomo, pienamente se stesso e quindi di poter essere l’alba di un mondo nuovo.
Giuditta Boscagli via email
Carissima Giuditta, grande amica, il lavoro che fai con questi ragazzi è preziosissimo. Tu ci richiami – nei giorni in cui si analizzano le mosse dei grandi della terra – a non dimenticarci che ognuno ha un «compito» (grande parola), in qualunque condizione si trovi, che sia oggi in un bunker a Kiev o in un’aula a Lecco. Educare, cioè rendere ragione di ciò in cui si crede, è il lavoro della vita.
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So già che probabilmente, anzi sicuramente i soliti benpensanti mi riserveranno fischi e buuu per quanto sto per dire. Ma tant’è. Amen. Premesso a scanso di equivoci che non ho alcuna intenzione di spezzare una lancia a favore di Putin e delle sue mire espansionistiche, il punto che mi preme sottolineare è un altro. Ed è lo strabismo doppiopesista che connota buona parte dei commenti accigliati, soprattutto ma non solo in ambito politico, a proposito di quanto sta accadendo in Ucraina.
Vogliamo provare a riavvolgere il nastro? Nel 1999 la Nato (cioè gli Usa) si schierò a fianco del Kosovo bombardando la Serbia che si opponeva a che il Kosovo uscisse dall’orbita di Belgrado. Come andò a finire lo sappiamo e siamo tutti felici e contenti. Domanda: dov’erano esattamente tutti coloro che oggi si stracciano le vesti per l’aggressione di Putin all’Ucraina, quando la Nato (cioè gli Usa) bombardava la Serbia? Dov’è la differenza? Se a bombardare è la Nato (cioè gli Usa), va bene, se invece bombarda la Russia va meno bene? Forse che il Kosovo aveva più diritto all’indipendenza del Donbass perché… già perché?
O vogliamo dire che esistono imperialismi “buoni” nascosti sotto le insegne delle guerre di libertà e imperialismi “cattivi” perché violenti e aggressivi come quello che Putin sta portando avanti (incidentalmente dopo che la Nato, cioè gli Usa, hanno violato gli accordi che prevedevano la non espansione a Est in cambio del ritiro delle truppe di Mosca dall’ex Ddr per favorire il processo di unificazione)? Prevengo l’obiezione: il paragone è forzato, non c’è nessun Milosevic in Ucraina, né è in atto un piano di pulizia etnica a danno degli ucraini filo russi.
Vero (anche se, e pure questo va ricordato, di bombardamenti nel Donbass ce ne sono stati, eccome). Ma anche così è un’obiezione che in punta di principio non sposta di una virgola la questione. O il diritto all’indipendenza vale per tutti o per nessuno.
Ripeto: nessuno qui si sogna neanche lontanamente di assecondare Putin, non è questo il punto (con tutto che non è affatto un pazzo, come certa narrativa lo dipinge, ma un lucido stratega che sta attuando un preciso disegno politico – la guerra come prosecuzione della politica con altri mezzi, dice niente? – evidentemente studiato a tavolino nei minimi dettagli mentre un Occidente inetto e imbelle dormiva, a partire dal commander in chief sleepy Joe); ma da qui alla solita, stucchevole riproposizione di vecchi cliché da film western con i cattivi da una parte e i buoni dall’altra, anche basta, grazie.
Il tema vero piuttosto, tra i tanti che questa maledetta guerra ha sollevato e che andrà affrontato e auspicabilmente risolto una volta che le armi avranno taciuto, è se e in che misura nel XXI secolo ha ancora un significato il tanto decantato principio di autodeterminazione dei popoli (cui fa da pendant quello, curiosamente sancito nelle costituzioni, della sovranità popolare); o se invece si tratta di un principio che vale a corrente alternata a seconda che la sua rivendicazione si collochi nel contesto di modelli e sistemi valoriali che qualcuno – a proposito, chi? – ha deciso essere assoluti e validi erga omnes (per capirci, trattasi della stessa questione che non molto tempo fa vide contrapposte Polonia e Ungheria da una parte e il resto dell’Ue dall’altra sulla ratifica dell’accordo sul bilancio 2021-2027).
Nel primo caso, qualora gli Uiguri un domani volessero creare una repubblica a sé indipendente da Pechino, di fronte ad una prevedibile reazione di Pechino a suon di bombe e deportazioni nei Laogai, naturalmente mi aspetto di assistere ad una strepitosa gara in Occidente a chi lancia il primo missile su Pechino, ok?
Luca Del Pozzo via email
Dal punto di vista dell’ipocrisia, niente di nuovo sul fronte occidentale.
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1 commento
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La notizia, marginale rispetto al contesto bellico in corso, ma neanche troppo marginale, è che le Paraolimpiadi sono state oggi vietate agli atleti russi. A me sembra veramente troppo. Stiamo parlando di sport, di disabili che si stanno preparando da anni, con chissà quali sacrifici, ad un evento per loro importantissimo, di riscatto verso un destino crudele. Il tutto in un Paese come la Cina; dico la Cina e ho detto tutto.
Visto che questa esclusione (toc toc…inclusivisti un tot al chilo) è l’unità di misura che viene usata anche per i mondiali di calcio, an he quelli vietati alla nazionale russa, sono andato a leggere cosa ne pensa del Qatar sia Amnesty International che Wikipedia. Onestà e coerenza esigono che sto mondiale non si possa fare. Restiamo in “vigile attesa”.