Tutto quello che non va nel ddl Pillon

Di Rodolfo Casadei
31 Ottobre 2018
Eugenia Roccella, Assuntina Morresi e Alberto Gambino hanno criticato a Milano l'impostazione del disegno di legge sull'affido condiviso. Cronaca dell'incontro

Non ci sono andati leggeri per niente col disegno di legge (ddl) del senatore Simone Pillon sull’affido condiviso i relatori dell’incontro “Affido condiviso: riflessioni e approfondimenti”, organizzato il 29 ottobre nella Sala Gonfalone del Palazzo Pirelli a Milano dal gruppo consiliare Noi con l’Italia. Dopo il saluto a cura del capogruppo Luca Del Gobbo, Alberto Gambino, ordinario di diritto privato all’Università Europea di Roma, Assuntina Morresi, componente del Comitato nazionale per la bioetica ed Eugenia Roccella, già sottosegretario alla Salute nel governo Berlusconi IV, hanno criticato l’impianto e la filosofia del ddl del neo-senatore leghista. L’originalità delle critiche sta nel fatto che non sono ispirate da una visione femminista o genderista dei rapporti uomo-donna, come la quasi totalità delle critiche finora rivolte al ddl, ma da un approccio pro-famiglia.

IL DISEGNO DI LEGGE

Il disegno di legge rappresenta certamente una rivoluzione nell’ambito delle questioni relative alle separazioni coniugali e familiari. Fra i numerosi punti qualificanti del progetto si ricordano il principio della bigenitorialità perfetta che prevede che il minore di famiglia separata trascorra lo stesso numero di ore con ciascuno dei due genitori (e comunque non meno di 12 giorni al mese), la mediazione civile obbligatoria al momento della separazione se ci sono figli minori, l’abolizione dell’assegno di mantenimento e la sua sostituzione col pagamento diretto delle spese vive e la fissazione di un assegno per le altre in base a un piano genitoriale, la lotta contro l’”alienazione parentale”, l’abrogazione dell’addebito, la doppia domiciliazione dei figli presso padre e madre, le figure del mediatore e del coordinatore del piano genitoriale che si concorda dopo la separazione.

LA MEDIAZIONE OBBLIGATORIA

Gambino ha criticato l’obbligatorietà della mediazione che rende la domanda di separazione «improcedibile» fino a quando la mediazione non sia stata esperita come qualcosa che potrebbe avere profili di incostituzionalità, poiché chi è stato oggetto di abusi o violenze non dovrebbe essere obbligato a ricercare una mediazione. Ha pure espresso perplessità sulle figure del mediatore e del coordinatore del piano genitoriale in cui deve sfociare la separazione previste dal ddl (pur tenendo presente che il ricorso al coordinatore non è obbligatorio), che lasciano intendere una radicale sfiducia degli estensori del progetto di legge nei confronti di magistrati e avvocati, che attualmente sono i referenti delle problematiche delle separazioni.

BIGENITORIALITÀ PERFETTA

Critiche decise anche nei confronti della “bigenitorialità perfetta”, «un algoritmo che non coincide con la vita reale». Nella vita reale non sempre è nell’interesse del minore trascorrere lo stesso tempo con ciascuno dei due genitori. Anche le disposizioni relative all’abitazione appaiono poco condivisibili perché poco attente all’interesse del minore, che normalmente è quello di rimanere nella casa dove viveva prima della separazione piuttosto che di pendolare fra due domicili. In definitiva, il ddl cerca di dare una risposta a problemi che non possono essere affrontati in termini di diritti stabiliti per legge e «parifica troppo i ruoli, tratta madre e padre come se fossero la stessa cosa».

RIVOLUZIONE ANTROPOLOGICA

Ancora più radicali le critiche formulate da Assuntina Morresi: «Perché una persona come me che fa parte del Comitato per la bioetica si esprime su un provvedimento che riguarda le politiche familiari? Perché questo ddl si pone all’interno della logica della rivoluzione antropologica che sta ridisegnando i rapporti fra uomo e donna e l’identità di padre e madre. Il ddl si rifà allo stesso modello antropologico che ispira la legge sulle unioni civili, e che è chiarito nella relazione introduttiva, dove si legge che “Nell’ambito dei rapporti all’interno della famiglia, e in particolare nelle relazioni tra genitori e figli, si parla di una nuova categoria di diritti che la recente riflessione sociologica ha definito con la locuzione di diritti relazionali o diritti alla relazione. È grazie al godimento del diritto ad avere relazioni con i propri familiari che le persone possono, nel contempo, esercitare i doveri legati al fare famiglia”».

IL MODELLO INDIVIDUALISTA SVEDESE

Secondo la Morresi «questo ddl sposa un modello familiare di tipo svedese, quello secondo cui ogni componente della famiglia è un individuo autonomo che non deve dipendere dagli altri e che ha dei diritti da far valere verso gli altri. Mentre gli obiettivi del ddl sono in sé condivisibili, non è accettabile il suo tentativo di imporre il modello antropologico individualista che è poi quello che domina i nostri tempi». Inoltre, «non è accettabile che lo Stato normi le relazioni affettive in nome dei cosiddetti “diritti relazionali”, cioè definendo dei diritti all’interno delle relazioni affettive. Anche se lo Stato normasse in coerenza con il mio orientamento religioso personale, sarebbe ingiusto: si aprirebbe la porta a un’etica di Stato. Lo Stato non può entrare nelle relazioni affettive, non può chiedere la prova che all’interno di un matrimonio esistano o non esistano relazioni affettive ed emotive. Questa impostazione produce soluzioni problematiche quando si tratta di affrontare le questioni concrete».

COME GENITORE 1 E GENITORE 2

«È giusto che i bambini continuino ad aver la possibilità di vivere con entrambi i genitori anche dopo la separazione, ma non possiamo pretendere che il diritto lenisca ferite che sono di natura affettiva», continua. «Il modello del tempo paritario è astratto: sfido chiunque dei presenti a pensarsi da figlio, e a chiedersi se ha passato mai nella vita il 50 per cento del proprio tempo col padre e il 50 per cento con la madre. Non si può pensare che un figlio, da 0 a 18 anni, passi sempre ugualmente lo stesso tempo con suo padre e con sua madre. C’è solo una possibilità che questo avvenga: che i genitori siano perfettamente interscambiabili. Avere non un padre e una madre, ma un genitore 1 e un genitore 2. Questa è la stessa logica della legge sulle unioni civili, contro la quale io e molti di voi ci siamo battuti. Ma essere padri è diverso dall’essere madri. Un bambino ha bisogno di entrambi i genitori, ma in modo diverso, anche in relazione alle diverse età nella vita. All’inizio i figli stanno soprattutto con la madre, poi a una certa età dobbiamo fare un passo indietro. Dunque siamo d’accordo che i figli devono stare sia col padre che con la madre anche dopo che si sono separati, ma questo non è traducibile nella bigenitorialità perfetta basata sul tempo uguale di convivenza. Più che una legge sull’affido condiviso, questa sembra una legge sull’affido suddiviso».

ALIENAZIONE PARENTALE

«Il ddl presenta problemi anche per i figli maggiorenni: a 18 anni un figlio, per avere ancora il mantenimento economico, deve fare richiesta al giudice, con una evidente discriminazione rispetto ai figli delle coppie non separate. A 25 anni il figlio perde ogni diritto economico, in quanto il mantenimento è conservato solo per i figli handicappati gravi. Ma chi stabilisce quanto grave è l’handicap?». La Morresi è molto critica anche sul tema del contrasto all’”alienazione parentale”: «È un concetto scientifico discutibile. Sono state fatte pressioni perché nel DSM-5 fosse inserita una Sindrome da alienazione parentale, ma la comunità scientifica ha rifiutato la richiesta. Il ddl sembra muovere dal presupposto che se un bambino rifiuta un genitore, la colpa è dell’altro genitore che lo ha manipolato. E di solito è la madre che mette in cattiva luce il padre. Ma il problema è che gli articoli 17 e 18 del ddl dispongono cose folli in materia. Poiché nel ddl si suppone sempre la presenza dell’alienazione parentale quando un bambino rifiuta un genitore, il giudice può intervenire, anche in assenza di evidenze di comportamenti scorretti, per allontanarlo dall’altro genitore, cioè da quello non rifiutato. Se un bambino rifiuta di vedere il padre, il giudice può intervenire per allontanarlo dalla madre, e può collocarlo presso il padre che il bambino rifiutava o presso una struttura specializzata dove è previsto un programma per il pieno recupero della bigenitorialità del minore. Una cosa degna di Mao Tse Tung! Io penso che se un bambino rifiuta il padre, o la madre, un giudice dovrebbe anzitutto chiedersi perché. Può essere che il rifiuto dipenda dalla presenza di un nuovo compagno o compagna con uno dei genitori. Allora vogliamo obbligare i figli a frequentare i nuovi partner dei genitori, ad accettare per forza la famiglia ricomposta? Anche qui, il ddl sembra muoversi in sintonia con una certa idea di famiglia che si pensava che i promotori della legge invece non amassero».

«DISINCENTIVA I MATRIMONI»

«In conclusione, si è detto e scritto che questo ddl mira a disincentivare separazioni e divorzi, perché prevede condizioni onerose. Io credo invece che disincentivi i matrimoni, perché prima di sposarsi, mettere su casa e fare figli, una persona dovrà, dopo l’approvazione della legge, essere ben sicuro di disporre dei mezzi adeguati per affrontare un eventuale fallimento. Questo ddl non disincentiverà i divorzi, ma aumenterà la convivenze di fatto».

UN DDL «GENDER-FRIENDLY»

Eugenia Roccella, che ha parlato per ultima, si è detta d’accordo con quanto già enunciato dai primi due relatori e ha aggiunto sue sottolineature. «Chi è pro-family deve approfondire questo ddl e criticare le sue basi, se davvero vuole combattere la rivoluzione antropologica basata sulla dissoluzione della dipendenza e dell’interdipendenza relazionale, basata su diritti riferiti esclusivamente ai singoli», ha esordito. «Perché la relazione non può essere un diritto. Questo ddl è inemendabile perché pervaso da un’ispirazione gender-friendly. Contribuirebbe a introdurre il gender nella legislazione italiana, come già hanno fatto certe raccomandazioni europee. Infatti considera padre e madre come soggetti intercambiabili. Ma la mamma è una cosa, e il papà un’altra: hanno ruoli e compiti educativi diversi. È surreale la divisione salomonica del tempo che il figlio deve poter vivere coi genitori: non esiste in natura la divisione del tempo al 50 per cento. Non è a questo che devono mirare i padri, poiché il loro compito non è quantitativo ma qualitativo: introdurre i figli nel mondo. Nel libro Fine della maternità raccontavo come la maternità sia stata smembrata, spezzettata: noi donne siamo diventate uteri in affitto, ovociti in dono. Raccontavo delle esperienze di co-parenting, che si sostanziano in contratti dove si stabilisce chi fornirà l’ovocita, chi l’utero, con chi vivrà il bambino ecc. Ritrovo la stessa contrattualizzazione della genitorialità nella logica del ddl, dove tutto viene affidato a un contratto stabilito per legge, al diritto del singolo alla relazione. Ma la relazione è un qualcosa proprio della persona, non proprio del diritto».

@RodolfoCasadei

Foto Ansa

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