Caro direttore, da anni abbiamo lanciato l’allarme circa le prepotenza di quello che abbiamo chiamato “pensiero unico” e l’appiattimento culturale che ci vorrebbe imporre il “politicamente corretto”. Abbiamo visto tutto ciò come un grave attacco alla libertà di pensiero e di opinione, peraltro consacrata dall’articolo 21 della nostra Costituzione, che, quando interessa, viene definita “la più bella del mondo” (e quando non interessa viene bellamente violata). Finora, quanto appena scritto veniva mantenuto nel campo del dibattito culturale, tranne qualche eccezione, come quando si cercò di reprimere penalmente la non meglio identificata “omofobia” (se si insistesse di andare su questa strada, tra l’altro, occorrerebbe anche una legge contro “l’eterofobia”, visto che in certi settori non si riesce a lavorare se non si appartiene al mondo Lgbt).
In questi giorni, l’asticella dell’attacco alla libertà si sta alzando anche a livello istituzionale: infatti, l’Agcom (l’autorità che controlla le comunicazioni) ha definito un regolamento, in base al quale ogni soggetto di comunicazione è tenuto a cancellare «ogni espressione di odio che incoraggi alla violenza o all’intolleranza». Queste parole, di per sé, appaiono molto corrette, ma sono le stesse con le quali molte associazioni Lgbt riescono ad entrare nelle scuole per propagandare in modo unilaterale la cultura gender, anche all’insaputa dei genitori. L’equivoco, che potrebbe portare alla cancellazione della libertà di espressione, è dato dalla parola “odio”, che ha certamente una valenza morale (di competenza del confessore), ma che è quasi impossibile decifrare a livello giuridico, anche perché è invalsa l’abitudine di considerare frutto di “odio” ogni espressione che non sia approvata dall’interlocutore.
La misura presa dall’Agcom porta in sé il pericolo di uccidere la libertà di pensiero, ma anche la possibilità di ogni dialogo, visto che ogni affermazione potrebbe essere bloccata all’origine, in quando considerata frutto di “odio”. In sostanza, nella nostra società “democratica” si sta inserendo un elemento che ricorda tristemente l’esperienza del Minculpop, che imponeva non solo i contenuti, ma anche il “modo” con cui esprimerli. Tutte le realtà sociali presenti nel nostro Paese dovrebbero preoccuparsi caldamente di questa censura di Stato, messa in atto, tra l’altro, da un gruppo di persone mai elette dal popolo italiano. È evidente che d’ora in poi sarà molto difficile dialogare serenamente su temi delicati come quelli relativi agli islamici, al mondo Lgbt, ai migranti, ai rom ed a tanti altri temi che il “pensiero unico” voglia indirizzare in una certa direzione, magari con l’aiuto di lauti finanziamenti di Soros e compagnia finanziando.
Ma anche il mondo cattolico dovrebbe preoccuparsi, soprattutto in relazione al dovere principale del cristiano che è quello di annunciare la verità e la presenza di Cristo. Non è pazzia, purtroppo, pensare che una qualunque associazione atea o di qualunque religione diversa dal cattolicesimo potrebbe denunciare all’Agcom come frutto di “odio” l’annuncio della risurrezione di Cristo, che potrebbe essere fatta passare per una “fake-news” (del resto, un annuncio simile, in molti Paese islamici, comporta già la pena della morte). La stessa cosa potrebbe accadere se un qualche cattolico avesse il “coraggio” di dire pubblicamente quello che c’è scritto nell’attuale catechismo della Chiesa Cattolica a proposito di famiglia e di sesso. Quanto dico non è fantasia, perché il provvedimento Agcom prevede che le denunce, che possono portare all’obbligo di pagare salatissime multe, possono essere fatte dalle associazioni che si sentono offese da giudizi diversi dai propri. Ogni associazione può essere collaboratrice della censura. Per questo, insisto, dico che sarebbe la fine non solo della libertà, ma anche della possibilità di dialogo.
Caro direttore, evidentemente, quanto ti ho scritto riguarda anche la libertà del bellissimo giornale che tu dirigi. Essendo un giornale contro la corrente conformista, grande è il rischio di essere censurato.
Voglio aggiungere una osservazione: quanto successo a proposito di Agcom dovrebbe aprire (anche da parte di Tempi) un ampio dibattito circa l’esistenza ed i poteri delle varie “autorità”. Intanto pongo una domanda: perché Governo e Parlamento hanno abdicato a tanti propri poteri delegandoli a degli organismi terzi, che garantiscono tutto tranne che la terzietà? È lo stesso complesso di inferiorità che porta la politica a genuflettersi di fronte alla Magistratura? Ritorna la sindrome di Stoccolma?
Infine, ti anticipo che in autunno i NONNI 2.0 scriveranno una lettera aperta ai nipoti, per metterli in guardia circa la minore libertà di cui essi potrebbero godere in futuro, affinché anch’essi vigilino e lottino, senza dormire sugli allori di chi, in molti casi, ha dato la vita per quella libertà che ora il pensiero unico vorrebbe eliminare.
Peppino Zola