
Perché tutti devono parlare del caso Gimaco. Ripetendo Gimaco, Gimaco, Gimaco

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – La vita di Boris è fatta, come tutte le vite, di alzarsi, caffellatte, routine, fatica, botte prese, qualcuna data eccetera. Ma che caffellatte, e che routine magnifica quando la giornata è illuminata dal “volto dei santi”, che non sono affatto santarellini ma persone attraversate dal divino, sono cioè uomini (e donne) veri. È il caso di un signore che troverà sorprendente questo articolo se qualcuno glielo mostrerà, e si arrabbierà perché lui è uno «normale, mi piace lavorare». Si chiama Filippo Giovannoni, ditta Gimaco, Valtellina. L’ho incontrato per caso sulle scale della prefettura di Milano un anno e rotti fa.
Non si dava pace. «Mafioso io? Ma non è possibile, non può essere che lo Stato pensi questo della mia ditta». Ora l’ha avuta vinta. In realtà nessuno ha mai detto che questo ragazzo dalle mani grandi incalcinate e dal volto aperto, fosse legato a Cosa nostra o roba simile. Ma era come quelle persone che ignare girano tranquille a gustarsi la campagna, e infilano il piede in una tagliola per animali di rapina. E zac. Hai voglia a spiegare che non sei una volpe, e neanche una faina, ma un bravo artigiano che vuole diventare grande, creare lavoro, guardare un ponte o una galleria e pensare: l’ho fatto io, è venuto bene.
Da artigiano che aveva dimostrato di valere, anche in tempi di crisi, geometra di Delebio (So), con tre o quattro muratori era riuscito a mettere su una bella ditta: Gimaco, si chiama Gimaco. Poi capirete perché scrivo ancora una volta Gimaco. Scopre che vendono il ramo di una società. Prende al volo l’occasione, le carte sono in regola: ha lavorato con l’Anas ed è considerata sana dall’ente di Stato. Non era stato un incauto acquisto, c’era la certificazione idonea, Giovannoni e la Gimaco non hanno neppure lontanamente avuto rapporti strani. Eppure cade in testa a tutta la ditta l’interdittiva antimafia. Giovannoni vorrebbe urlare, squartarsi per far vedere che la sua anima è candida, non si può. La tagliola è scattata.
Invece di fare gesti eclatanti o di arrendersi e chiudere baracca, Giovannoni mostra una fiducia enorme nello Stato. Si dichiara sicuro che tutto sarà rischiarato dalla luce della giustizia. Ha vinto appalti importanti nel frattempo per Expo. Tutti i conti sono chiusi, è l’interdittiva. Che fa? Si fida della prefettura. E si fida pure della magistratura amministrativa a cui fa pervenire le carte della sua buona fede assoluta. E qui accadono cose belle. Il prefetto Francesco Paolo Tronca nomina commissari due professori della Cattolica: invece di fare il minimo per prendersi il guiderdone, si innamorano della ditta, capiscono che la Gimaco è sana, c’è una qualità umana lì dentro che la burocrazia non può uccidere. Giovannoni chiede la revoca del blocco, il tempo passa e la ditta rischia di morire. I lavori sono finiti, sono lucenti, approvati con lode. Ma la Gimaco non può acquisire nuovi lavori. Ed ecco un uno-due meraviglioso contro l’ingiustizia. Prima il Tar annulla l’interdittiva antimafia e con essa dichiara i commissariamenti dei cantieri indebiti. Pochi giorni dopo la prefettura di Milano insieme con quella di Sondrio giungono alle stesse conclusioni. Giovannoni e la Gimaco sono puri come cristallina fonte.
Giovannoni invece di essere arrabbiato per il tempo perduto e il fegato consumato, è felice di aver avuto ragione nel dar fiducia alla burocrazia. Una positività così, una capacità di perdono talmente grandi meritano fortuna.
C’è un problema. Ed è per questo che ho scritto tante volte Gimaco. Se infatti si scrive il nome della ditta su un motore di ricerca, saltano su come Joker sghignazzanti i titoli dei giornali che recepiscono le accuse alla Gimaco. Scatta la diffidenza. Niente lavori. Nessuno, tranne il Giorno in una pagina locale, ha ripreso la meravigliosa e positiva storia di Giovannoni e della Gimaco. Gli altri giornali si sono accontentati di aver tirato il sasso. Citate Gimaco, fate sparire le ombre dai primi risultati di Google.
Foto Ansa
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6 commenti
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Si può intimare a Google la rimozione dei contenuti diffamanti e la rettifica ai relativi giornali, è già stato fatto e funziona.
Morale della storia:
1- la giustizia italiana riesce a rimediare agli errori compiuti, quindi merita la nostra fiducia;
2- il giornalismo italiano non è ancora maturo per una democrazia compiuta, ma vive le storture dovute alle leggi del mercato.
Una domanda, dott. Farina: Lei è un magistrato o un giornalista?
Caro Giava, volendo esser seri, si dovrebbe riformulare il tuo punto 1 come segue:
“la Provvidenza talvolta riesce a rimediare agli errori compiuti dalla giustizia italiana, quindi merita la nostra fiducia;”
🙂
Grazie per il “Caro”!
Questa volta siamo totalmente d’accordo…è un buon punto di partenza. Alla prossima.
Ovviamente il “quindi merita la nostra fiducia” si riferisce alla Provvidenza, suppongo…