
Trump continua a vendere armi all’Ucraina per indebolire la Russia

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Mentre le inchieste giudiziarie si accaniscono sull’ipotesi di una “Russian connection” che avrebbe cospirato per favorire la vittoria di Donald Trump alle presidenziali americane del 2016, il capo di Stato degli Usa continua a riservare dispiaceri a Mosca. All’inizio di settembre l’ex ambasciatore americano presso la Nato, Kurt Volker, in un’intervista al Guardian di Londra ha rivelato che gli Stati Uniti sono pronti ad aiutare l’Ucraina a ricostituire la sua marina militare e la sua aeronautica militare, attualmente ridotte ai minimi termini.
[pubblicita_articolo allineam=”destra”] I VETI DI OBAMA. L’annuncio fa seguito alla consegna di armi per il combattimento a terra del valore di 47 milioni di dollari nell’aprile scorso; fra esse anche i sofisticati missili anticarro Javelin in numero di 210: armi alla cui esportazione in Ucraina Barack Obama aveva opposto il veto durante la sua presidenza. Nel mese di maggio il Congresso americano ha approvato 250 milioni di dollari di assistenza militare da fornire all’Ucraina nel corso del 2019. Per due volte durante la presidenza Obama aveva votato forniture di questa entità a vantaggio delle forze armate ucraine, e in entrambi i casi le decisioni erano rimaste lettera morta per l’intervento di Obama che le aveva bloccate.
ESCALATION CON MOSCA. Ora non più: quando nel dicembre dello scorso anno Washington ha approvato forniture di armi leggere per un valore di 41,5 milioni di dollari (compresi i fucili di precisione Barrett M82, molto efficaci contro obiettivi come stazioni radar, camion, aerei ed elicotteri parcheggiati), la Casa Bianca ha provveduto a rimuovere i paletti posti dalla precedente amministrazione. Lo scenario strategico è chiaro: mentre l’amministrazione Obama si preoccupava di non innescare un’escalation da parte russa, e di mantenere quello ucraino al livello di un conflitto di bassa intensità destinato a logorare a vari livelli la Russia (rottura dei rapporti con la Ue, sanzioni, ecc.), Trump sembra invece pensare che l’escalation va ricercata per molte ragioni. Costringerebbe Mosca a costose contromisure, oppure a mostrarsi meno intransigente e fare concessioni, e in ogni caso permetterebbe al complesso militare-industriale americano di mettere a segno grossi colpi commerciali.
ESERCITAZIONI NATO. L’approvazione nel maggio scorso senza ostacoli presidenziali di un pacchetto di assistenza militare all’Ucraina apre la porta a un incremento esponenziale del sostegno russo a Kiev. Che Trump abbia accettato la sfida di Mosca lo si vede anche dalla tempistica delle esercitazioni della Nato nella regione: alla vigilia delle esercitazioni congiunte russe-bielorusse del settembre dello scorso anno (Zapad 2017) nei territori nord-occidentali confinanti con la Polonia e i tre Stati baltici, 1.650 uomini di 15 paesi Nato compresi gli Usa svolsero esercitazioni militari in territorio ucraino; quindi nel giugno di quest’anno le manovre Nato si sono spostate proprio nei paesi minacciati da Zapad 2017: Polonia, Lettonia, Lituania ed Estonia. Altre esercitazioni hanno avuto luogo nella sola Lettonia alla fine di agosto. In maggio invece si erano svolte, col coordinamento della Romania, le manovre navali dell’esercitazione Sea Shield nel Mar Nero, non lontano dalla base militare navale russa di Sebastopoli. E intanto istruttori americani addestrano forze di terra ucraine in una base militare della zona occidentale del paese, secondo quanto dichiarato in febbraio dal segretario alla Difesa James Mattis.
ANTISEMITISMO. I congressisti americani che votano con entusiasmo i pacchetti di aiuti militari all’Ucraina sono però anche le stesse persone che reagiscono con allarme, inviando petizioni al Dipartimento di Stato, alle notizie di un incremento degli atti di antisemitismo in quel paese dopo la caduta del governo filo-russo di Yanukovich e l’ascesa al potere del filo-occidentale Poroshenko. Ciò soprattutto dopo la pubblicazione nel febbraio scorso di un rapporto del ministero israeliano della Diaspora che asseriva un raddoppio degli atti di antisemitismo in Ucraina nel 2017 rispetto al 2016. Molte organizzazioni ebraiche in Ucraina si sono affrettate a smentire il rapporto o a commentare che il forte aumento di atti di vandalismo contro sinagoghe e cimiteri ebraici sarebbe opera soprattutto di provocatori filo-russi che vogliono macchiare l’immagine dell’Ucraina del dopo-Maidan.
ULTRANAZIONALISTI. Ma perché l’attribuzione di questi e altri atti antisemiti a forze politiche ucraine dovrebbe risultare credibile? Per una complessa serie di ragioni che fa capo al fatto che la politica della memoria nazionale dei governi succedutisi dopo le manifestazioni di Maidan è centrata sulla valorizzazione di personaggi e gruppi degli anni Quaranta (come l’Oun/Upa, Organizzazione dei nazionalisti ucraini/Esercito insurrezionale ucraino) che hanno lottato per l’indipendenza del paese, cari all’estrema destra ultranazionalista ucraina. Costoro infatti non si sono limitati a lottare contro l’influenza sovietica e bolscevica, ma insieme agli occupanti nazisti hanno partecipato allo sterminio di polacchi ed ebrei, due forti minoranze allora presenti nel paese.
NEONAZISTI. Eredi di quella storia sono oggi organizzazioni politico-militari come Battaglione Azov/Corpus nazionale, Pravy Sektor, C14, ecc. Alle elezioni hanno guadagnato pochi seggi, ma alcuni dei loro uomini occupano posizioni strategiche nella nuova amministrazione. Il ministro degli Interni Arsen Avakov, che controlla la polizia e la Guardia nazionale, ha una storia di forti legami col Battaglione Azov, e infatti ha assegnato alti incarichi a due esponenti di spicco di tale organizzazione noti per le loro simpatie neo-naziste, Vadim Troyan e Sergei Korotkykh. Il primo è stato nominato prima capo della polizia della regione di Kiev e poi vicecomandante della polizia nazionale; il secondo, un bielorusso che ha ottenuto la cittadinanza ucraina nel 2014, è responsabile per la sicurezza di siti strategici.
NESSUN CONTROLLO. Il presidente Poroshenko appare attualmente troppo debole per liberarsi del sostegno di questi gruppi estremisti e non può allontanare dal governo Avakov, esponente del principale partito della coalizione di governo. La risposta del Congresso americano è stata di votare emendamenti che prevedono che gli aiuti militari all’Ucraina non possano finire nelle mani delle milizie che afferiscono ai gruppi dell’ultradestra. Come concretamente ciò possa essere controllato, non si sa.
Foto Ansa
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