Taglio dei parlamentari. Domande non banali su un referendum dall’esito scontato

Di Esserci
12 Marzo 2020
A parte la campagna contro la casta, dominano calcoli e contro calcoli di partito, difficili da comprendere. Viene voglia di non farsi coinvolgere, non andando a votare. Oppure si può votare no
Manifestazione del M5s contro la casta dei parlamentari

Ripubblichiamo un articolo tratto dal numero di marzo 2020 di Tempi in cui anticipavamo un giudizio sul referendum sul taglio dei parlamentari. Un giudizio che riteniamo ancora attuale.

Nell’ottobre scorso, la Camera ha approvato in via definitiva, con 553 voti, la legge costituzionale che taglia il numero dei parlamentari, da 630 a 400 deputati e da 315 a 200 senatori. Il Senato aveva già approvato a luglio con 180 voti, più della maggioranza assoluta, ma non dei due terzi dei componenti, per cui, come previsto dalla Costituzione, è stato possibile chiedere con un numero di senatori superiore a un quinto (64; hanno firmato in 71) un referendum confermativo, per dire una parola definitiva su una scelta così importante. Tale referendum, previsto per il 29 marzo, non richiede quorum, ovvero qualunque sia il numero dei partecipanti al voto, a seconda che la maggioranza dica sì o no, la legge passa o è cassata. Che fare? 

Praticamente tutti i partiti hanno espresso il loro assenso al taglio dei parlamentari, fortemente voluto dal M5s. Il Pd, che era all’opposizione del primo governo Conte, ha votato a favore quando è diventato alleato nel secondo. La Lega e Fratelli d’Italia hanno sempre votato a favore anche dall’opposizione. Forza Italia, che in Senato si era astenuta, alla Camera ha votato a favore. La conferma della legge, pertanto, gode del favore della politica e arriva alla fine di una campagna mediatica, con in testa i due principali quotidiani italiani, che ha accusato il Parlamento, oltre che di essere eccessivamente numeroso e costoso, di essere la sede di una casta attaccata alla poltrona, incompetente, facilmente corruttibile e inefficiente. 

Il parere dei mass media e dei politici, che sono curiosamente sempre alleati, nonostante le reciproche critiche a volte feroci, è che vinceranno largamente i sì. Per il no, non c’è di fatto nessuna propaganda, anche se sta aumentando il numero di parlamentari che stanno correndo in questa direzione, per la preoccupazione di perdere il posto di lavoro, che per molti è l’unico. 

Confrontando paesi simili per popolazione e sviluppo, l’Italia attualmente ha un parlamentare ogni 63 mila abitanti, meno del Regno Unito (1 ogni 46 mila) e più di Francia (1 ogni 70 mila), Germania (1 ogni 106 mila) e Spagna (1 ogni 133 mila). Per quanto riguarda i costi, ogni cittadino italiano spende circa 25 euro all’anno per mantenere il Parlamento, 3 volte più che in Francia e Germania, 5-6 volte di più che nel Regno Unito e negli Stati Uniti, 12 volte più che in Spagna. Ci sarebbero motivi per votare a favore della legge! D’altra parte se i parlamentari, così numerosi, nemmeno difendono il loro posto, non meritano certo di essere sostenuti da noi. 

C’è tuttavia un grande interrogativo sul sì. Il numero dei parlamentari dovrebbe essere l’ultima decisione relativa a una riforma di Camera e Senato. Appare folle tagliare i parlamentari senza una nuova legge elettorale che definisca modalità di candidatura, preferenze e collegi, nonché tipo di regime maggioritario o proporzionale. Non a caso, il referendum è stato fortemente voluto dal M5s, forza che non si è certamente distinta per cultura istituzionale, bensì per un semplicismo superficiale che invece di sciogliere i problemi li aumenta. È tuttavia impressionante come sia riuscita a convincere gli alleati di governo passati e presenti, che di cultura istituzionale dicono di averne di più. 

La composizione del Parlamento deve innanzitutto rispondere alla esigenza di reale rappresentanza democratica di tutto il paese.

Le possibili opzioni

È da più parti osservato che il referendum proposto, con il suo esito scontato, ha, tra l’altro, l’obiettivo di M5s e governo di ritardare il più possibile nuove elezioni, a seguito del tempo necessario per i provvedimenti di adeguamento del sistema elettorale – appunto fare dopo quello che sarebbe logico fare prima. Più difficile da capire è la posizione della Lega che vuole elezioni il prima possibile e appoggia il referendum che le dilaziona. 

Lo scenario è quindi complesso, contradditorio e pieno di calcoli e contro calcoli, assai difficili da comprendere per l’elettore comune. La prima reazione è di non farsi coinvolgere, non andando a votare. Per chi questo è troppo poco, troppo assente, c’è l’opzione del no, come appello alla ragione e alla responsabilità, anche se minoritario e ampiamente sconfitto. Ma così va la vita, nella politica di questi Tempi.

Foto Ansa

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