
Sventola la croce sul Partenone

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – La Chiesa ortodossa in Grecia non è un’istituzione qualunque. La Costituzione la riconosce come «religione predominante» e vieta addirittura la traduzione delle Sacre Scritture in altre lingue «senza il suo consenso preliminare». Durante la cerimonia di insediamento dei governi, i primi ministri giurano sulla Santa Croce, prima che sulla Costituzione, così come il Parlamento riceve la benedizione dell’arcivescovo di Atene e di tutta la Grecia. In base a un trattato che risale a oltre sessant’anni fa, i sacerdoti (così come gli imam e i rabbini) sono dei dipendenti dello Stato e da esso ricevono stipendio e pensione. L’80 per cento dei greci si dice cristiano ed è difficile trovare altri Stati in Europa dove la Chiesa giochi un ruolo nevralgico nella vita della società come in Grecia. La sua posizione privilegiata suscita inevitabili invidie e critiche in tempi di relativismo e laicismo spinto, quindi non c’è da stupirsi se, fin dagli inizi della crisi economica che dal 2009 stritola il paese, alla Chiesa è stato rinfacciato da più parti di avere troppi onori e troppi pochi oneri. Le accuse sono simili a quelle rivolte alla Chiesa cattolica in Italia: il clero non fa la sua parte, ha troppe proprietà, paga troppe poche tasse e non viene mai riguardato dalle politiche di austerity e tagli orizzontali.
Nikos Tzoitis, analista del patriarcato ecumenico di Costantinopoli, sarebbe tentato di non rispondere neanche a polemiche vecchie come il Partenone, ma poi si infiamma: «Se il clero ortodosso è stipendiato è perché negli ultimi decenni la Chiesa ha trasferito circa il 90 per cento delle sue proprietà allo Stato e le strutture religiose che agiscono a scopo di lucro le tasse le pagano già», dice a Tempi. «Queste discussioni non portano proprio a niente, anche perché i sacerdoti, come tutti gli altri dipendenti statali, in questi anni si sono visti tagliare stipendi e pensioni. Di cosa stiamo parlando?».
Solo nel 2011, la Chiesa ortodossa greca ha pagato 12,6 milioni di euro in tasse ma i numeri che contano di più sono altri. «Da quando la crisi è iniziata, la Chiesa ha speso almeno 100 milioni di euro per aiutare la popolazione a non soccombere alla crisi», continua Tzoitis, che è stato anche vice-console greco a Roma. «Ha distribuito qualcosa come 10 milioni di pasti. E sono tantissimi, in un paese che ha poco più di 10 milioni di abitanti. Ma al di là dei numeri, grazie alla sua presenza capillare e strutturata all’interno della società greca, la Chiesa è stata la prima a rispondere alle esigenze della popolazione in difficoltà».
Oltre alle mense dei poveri, in aggiunta ai pacchi alimentari e agli indumenti distribuiti a tante famiglie greche improvvisamente scivolate nella povertà, «la Chiesa ha offerto un grande sostegno spirituale e psicologico alle tante persone che si sono ritrovate spaesate davanti alla crisi». E che cosa sarebbe successo se l’arcidiocesi di Atene, al pari di tante altre diocesi, non avesse pagato in inverno il riscaldamento alle famiglie che a causa del rincaro delle bollette non potevano più permetterselo? E se non avesse sostenuto il costo delle rette al posto di genitori che non avevano più i soldi per mandare a scuola i figli? E se non avesse aperto corsi di formazione per insegnare un nuovo lavoro a tutti quelli che l’avevano perso (la disoccupazione in Grecia ha toccato quota 23,5 per cento, quella giovanile è al 48 per cento)?
Senza contare che nella patria della democrazia è scoppiata una crisi nella crisi. Nel 2015, attraverso il Mar Egeo, sono arrivati dalla Turchia più di 857 mila migranti. Nel 2016, grazie all’accordo tra l’Unione Europea e la Turchia, il numero degli arrivi è sceso a 156 mila circa e anche se la maggior parte di loro ha proseguito il viaggio verso lidi più attraenti, la Grecia fatica a gestire socialmente ed economicamente i 62 mila migranti che attualmente si trovano sul suo territorio. Anche in questo ambito la Chiesa «ha contribuito offrendo le sue strutture per ospitarli», spiega l’analista del patriarcato, «ha fondato delle scuole per farli integrare nella società, ha lavorato per offrire una risposta ecumenica, di concerto con le altre Chiese cristiane, alla crisi. Ovviamente non ha le stesse possibilità di uno Stato, ma senza la collaborazione ad esempio con la Caritas cattolica il problema del fenomeno migratorio sarebbe stato ancora più drammatico. La Chiesa è stata la prima ad essersi mossa, prima ancora che lo Stato chiedesse il suo aiuto».
Questa enorme mole di lavoro per impedire al popolo greco di sprofondare nella disperazione forse non è neanche il dato più importante. Il primate della Chiesa ortodossa greca, l’arcivescovo Ieronimos II, si è infatti caricato sulle spalle il compito di individuare le cause della crisi e offrire una prospettiva per uscirne. «L’arcivescovo ha sempre messo il dito nella piaga dell’Europa, accusandola di avere dimenticato le sue origini cristiane e di conseguenza di avere mercificato la sua missione». È da questo peccato originale, insiste l’ex vice-console, «che deriva il modo in cui l’Unione Europea tratta la Grecia e la sua popolazione. È chiaro che gli errori politici ci sono, ma questo non è una giustificazione per dimenticarsi che le persone sono creature di Dio e non oggetti».
Trattati come numeri
Il discorso è di strettissima attualità. Atene ha da poco approvato il nuovo piano infarcito di tagli alle pensioni e aumenti delle tasse, che dovrebbe garantire lo sblocco della nuova tranche di aiuti da parte di Ue, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale (Fmi). La misura, che fa parte del piano di salvataggio da 86 miliardi, è urgente e permetterà ad Atene di pagare un pacchetto di 7 miliardi di debiti che scadranno a luglio. Nonostante la Grecia abbia fatto il suo, gli aiuti non sono ancora arrivati a causa dello scontro tra Germania e Fmi sulla necessità o meno di cancellare parte del debito greco. Per Berlino la ristrutturazione del debito è impossibile, per il Fmi è l’unica cosa realistica da fare.
«La Chiesa ortodossa continua a ripetere che le condizioni imposte dall’Europa sono state troppo pesanti, perché gli strati benestanti della popolazione sono stati appena scalfiti, mentre quelli medio-bassi, cioè la stragrande maggioranza della gente, rischiano di affogare». L’idea di fondo è semplice: «L’Ue non può trattare gli esseri umani come numeri ma deve aiutare il paese a superare la crisi. La missione della Chiesa è diffondere il messaggio evangelico di Cristo, il quale insegna che davanti a Dio siamo tutti uguali. Allora suoniamo un campanello ai potenti di questo mondo: non si può calpestare in maniera speculativa l’esistenza umana. La grande urgenza oggi è riformare la società greca per promuovere la dignità dell’essere umano».
Questa critica politica si accompagna a una riflessione che va ancora più in profondità, fino a toccare il nodo cruciale della crisi europea, che non è appena economica «ma deriva da una crisi spirituale. Non ne usciremo mai se l’uomo non verrà rigenerato spiritualmente. Da decenni l’educazione mira solo a dare uno sbocco professionale nell’ottica del mero guadagno materiale. Oggi si parla solo di diritti, mentre il senso del dovere è stato del tutto abbandonato. Finché non torneremo a educare l’uomo a riscoprire il senso escatologico della vita, non ci risolleveremo da questa crisi».
Parlare con una sola voce
Ecco perché, aggiunge Tzoitis, la Chiesa ortodossa ha un ruolo cruciale nella soluzione del problema: «È la Chiesa che dovrà formare l’essere umano. Il grande progetto del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli è preservare l’uomo ed educarlo perché possa stare nel mondo e fare le scelte giuste, anche in campo economico e politico». Ma questo è un compito che gli ortodossi non possono portare a termine da soli. «La crisi economica», conclude l’ex vice-console, «ha scoperchiato il vero problema: il mondo non può essere guidato solo sulla base di una logica di consumo che porta a un benessere fittizio. L’Europa non potrà uscire da una crisi così profonda se il mondo cristiano non tornerà a parlare con una sola voce. Solo una Chiesa unita potrà fare la voce grossa e dare quella risposta che tutti attendono sul perché dell’esistenza dell’essere umano. Solo un messaggio ecumenico, cattolico e ortodosso innanzitutto, può offrire un contributo di questa portata».
Foto Ansa
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