
Sveglia ragione! La tecnologia è vita
Dal punto di vista del progresso materiale, il XX secolo è stato il più straordinario di tutti. Paesi come gli Stati Uniti e l’Italia hanno guadagnato 30 anni di aspettativa di vita e cioè più di quanto sia stato guadagnato in tutta la storia precedente. Prima ogni famiglia faceva esperienza costante della morte: un bambino nato nel 1900 aveva meno dell’1% di possibilità di arrivare a 15 anni senza che morisse lui stesso o un fratello o uno dei genitori. Oggi in Occidente le famiglie rimangono intatte (magari disgregate dal divorzio, ma non dalla morte) nel 99% dei casi fino a che i figli diventano adulti. Parlando di globalizzazione, il fatto che la gente abbia accesso a cibo migliore e viva una vita più sana, è un fenomeno che interessa tutto il mondo, tranne alcune parti dell’Africa. Uno dei più grandi paradossi del XX secolo è che proprio le tecnologie che hanno reso possibili questi cambiamenti straordinari sono messe sempre più sotto accusa.
I buoni vecchi tempi…
Il genere umano non ha mai avuto accesso ad acqua potabile e cibo sicuro in maniera consistente: l’acqua era spesso contaminata, la selvaggina portava malattie e le intossicazioni alimentari erano il pane quotidiano. A partire dal 1900 si è iniziato a trattare l’acqua col cloro per renderla potabile e, per la prima volta nella storia umana, la stragrande maggioranza di alcune popolazioni non ha sofferto, se non raramente, di malattie trasmesse con l’acqua. Nonostante questo, Greenpeace porta avanti una vigorosa campagna per bandire l’uso del cloro nel trattamento delle acque, nello sviluppo di medicine e nella protezione delle colture. Ogni volta che si verifica qualche epidemia di afta epizootica, i movimenti ambientalisti e altre organizzazioni danno la colpa all’agronomia moderna, ma la verità è che le mandrie nel terzo mondo soffrono regolarmente di questa ed altre malattie. La realtà è che l’afta epizootica testimonia il livello sanitario e la qualità della nostra produzione alimentare. La malattia infatti è molto contagiosa, ma non uccide gli animali, causando solo diarrea e di conseguenza una diminuita produzione di carne e latte. Proprio perché abbiamo raggiunto questo straordinario livello di sanità nelle produzioni alimentari, si prendono misure estreme per contenere il propagarsi di queste malattie. Potremmo continuare l’elenco di prodotti della scienza e della tecnologia dell’ultimo secolo parlando di nutrizione, di sicurezza alimentare o di pesticidi (come il Ddt) e del loro ruolo sia nella produzione del cibo che nella salute pubblica (il Ddt ha liberato l’Italia dal flagello della malaria che ha tormentato la penisola italiana fin da quando gli uomini l’abitavano e ha prevenuto un’epidemia di tifo alla fine della seconda guerra mondiale). Molti dicono che i composti chimici di sintesi ci stanno uccidendo e il mio commento-domanda è il seguente: se la scienza moderna e la tecnologia ci stanno uccidendo, allora perché viviamo così a lungo? La critica di tutte queste tecnologie che hanno portato tanto beneficio è la propaggine di una credenza più profonda: che la tecnologia e la scienza siano dannose per l’uomo ed estranee alla sua natura. Niente è più lontano dalla verità e lasciate che lo dimostri in dieci punti.
L’uomo e la tecnologia? Sono una cosa sola
I nostri progenitori si sono evoluti come esseri che producevano attrezzi e noi siamo inimmaginabili senza questi. Per esempio, abbiamo non solo una mano, un polso ed un braccio diversi da quelli degli scimpanzé e dell’uomo di Neanderthal, ma anche la regione di corteccia cerebrale che controlla la mano molto più sviluppata. Così, quanto più un uomo riusciva a fare attrezzi migliori, tanto più riusciva a sopravvivere e veniva perciò favorito dalla selezione.
I vegetariani? Ringrazino i tecno-onnivori
Nel corso dell’evoluzione abbiamo sviluppato un cervello di grandi dimensioni che consuma almeno il 30% dell’energia utilizzata dal nostro corpo. Questo favoloso strumento che è la mente è operativo 24 ore al giorno e richiede continuamente questo apporto energetico. Allo stesso tempo è cambiato il nostro apparato digerente, riducendo il basso intestino, così che eliminiamo le fibre velocemente senza riuscire ad estrarne l’energia (come fa invece il gorilla, che spende molto del suo tempo ad assumere materiale vegetale a basso contenuto di energia e nutrienti). Questo significa che siamo diventati dipendenti da cibi ad alta densità, come la carne e la frutta, per ottenere i quali occorre capacità intellettuale per ricordare la stagione e la localizzazione di ciascun frutto o per riuscire a cacciare animali più forti e veloci. A coloro che contestano l’attitudine a mangiare carne, potete controbattere che è possibile oggi essere vegetariani perché la tecnologia e la scienza producono una serie di cibi ad alta densità.
Non esiste uno “stato naturale” a cui tornare
La necessità aguzza l’ingegno, ma è altrettanto vero il contrario e cioè che il nostro ingegno, con tutte le sue invenzioni, ha generato necessità sempre nuove, non solo in termini evolutivi (dipendiamo dalle invenzioni e non potremmo vivere senza di esse), ma anche perché tramite la tecnologia siamo riusciti a creare civiltà più dense, che comportano “nuovi” problemi e per i quali serve ulteriore tecnologia. Circa 12.000 anni fa avremmo potuto aumentare il tasso di mortalità per mantenere la popolazione in equilibrio con l’ambiente oppure inventare l’agricoltura per sostenere l’aumento demografico: uno dei più grossi tributi che bisogna rendere all’uomo è che, quando ha dovuto operare una scelta, ha scelto per la vita.
Adattare all’ambiente o adattare l’ambiente
L’uomo, al contrario degli altri primati, è stato capace di popolare tutta la terra senza speciazione (senza dare cioè origine a tante nuove specie adatte ai diversi ambienti). L’adattamento biologico è un processo lento che non sempre funziona: noi non ci siamo adattati all’ambiente, ma, attraverso la tecnologia, abbiamo adattato l’ambiente a noi. Quando le persone parlano del vivere in armonia con la natura, bisogna far notare che l’unica natura che l’uomo senza tecnologia possa apprezzare è quella delle foreste pluviali e le savane dei tropici. L’unico motivo per cui oggi possiamo apprezzare le bellezze naturali dell’Italia, della Svezia o del Texas è perché abbiamo sviluppato la tecnologia che ci ha permesso di vivere in questi paesi. Senza tecnologia non saremmo altro che l’ennesima specie di primati tropicali sempre in balia di fluttuazioni casuali nell’ambiente che ne possono determinare un declino catastrofico o addirittura l’estinzione.
A proposito di “buon selvaggio”
Qualcuno sostiene che abbiamo perduto il concetto di natura che le culture primitive avevano molto ben presente. Tuttavia dobbiamo renderci conto che l’apprezzamento della natura è essenzialmente un fenomeno moderno, tipico di coloro che hanno avuto il privilegio di crescere in una società come la nostra che protegge da tutti gli aspetti più devastanti dei fenomeni naturali. Le Alpi erano viste storicamente come una barriera, difficili da superare o ostacolo agli invasori. Possiamo datare precisamente un cambio di mentalità e ascriverlo alla poesia del Petrarca “Salita al monte Ventoso” dove si parla delle Alpi come una bellezza e non come un ostacolo. Molti oggi immaginano che i popoli primitivi vivessero in armonia con la natura, ma la realtà storica è diversa: le popolazioni della Polinesia, una volta giunte in Nuova Zelanda, sterminarono 7 specie di grandi uccelli terrestri. E nell’isola di Pasqua, a causa delle loro pratiche agricole, tagliarono tutti gli alberi fino all’ultimo. Se la gente pensa che le isole della Polinesia fossero dei paradisi prima del contatto con l’Europa, occorre ricordare che hanno sofferto carestie periodiche. Con questo non voglio certo disprezzare le popolazioni allo stato pre-industriale: ogni popolazione deve trovare la propria strada per migliorarsi.
Adoratori della natura? Sì, grazie all’Occidente
Per l’agricoltore, la natura è fatta di insetti dannosi, inondazioni e malattie di ogni sorta. L’agronomia moderna tramite l’irrigazione, i pesticidi, il miglioramento genetico, etc., è riuscita a dare una certa protezione agli agricoltori contro questi eventi calamitosi. Per un chimico, la natura produce migliaia di composti, molti dei quali sono mutageni, cancerogeni o velenosi. Noi mangiamo giornalmente 1500 mg di composti naturali classificabili come cancerogeni e meno di 1 mg di pesticidi sintetici, eppure molti sono ossessionati da quel singolo mg e dimenticano i pericoli degli altri 1499 (si veda Tempi, anno 6 n. 16, 20/4/2000). È difficile guardare alla natura in modo romantico quando può minacciare la sopravvivenza propria e di quelli che amiamo, non per nulla molti adoratori della natura vivono in Occidente.
Non c’è natura senza uomo che dice “Io”
La mente è l’unico organo che noi conosciamo cosciente di se stesso. Solo gli uomini possiedono il linguaggio che permette loro di parlare dell’autocoscienza. Uno scienziato ha commentato questo fatto dicendo che la mente umana è la modalità con cui l’universo conosce se stesso. Per quanto semplificato, rimane il fatto che tramite la tecnologia noi possiamo conoscere la natura e l’universo più di quanto ogni altra creatura abbia mai saputo o di quanto gli uomini avrebbero mai potuto sapere senza tecnologia. Innanzitutto perché senza tecnologia molto del mondo non ci sarebbe accessibile, ma anche perché, tramite la tecnologia, possiamo utilizzare ed esplorare l’universo in modi prima impensabili, come il guardare indietro nel tempo (ad esempio studiando galassie vecchie miliardi di anni). Inoltre penso a tutta la gente con handicap fisici, come il fisico Hawking, che grazie alla tecnologia può muoversi ed è aiutato a parlare, riuscendo così ad esprimere tutto quello che la sua mente scopre a riguardo delle origini dell’universo. Al contrario di tutta una letteratura che presenta la tecnologia come qualcosa che ci rende infermi, pensate a tutte le persone che hanno avuto la sostituzione del femore o hanno subito un’operazione alla cataratta e di come la loro vita sia, in questo senso, più sana.
La natura è una risorsa? Sì, se l’uomo ci mette la testa
Quando i nostri antenati prendevano una pietra, questa non era di per sé una risorsa in quanto non sosteneva alcuna forma di vita; ma quando l’uomo aveva un’idea e, tramite lo sviluppo delle proprie abilità manuali, trasformava la pietra in attrezzo, allora la pietra diventava risorsa. Il concetto di risorsa non è dunque inerente all’oggetto, ma è funzione della conoscenza, dell’intelligenza e della capacità umana di trasformare la materia. L’argilla o i minerali metallici non erano niente prima che l’uomo imparasse a controllare il fuoco e a costruire i forni per la loro cottura, così da produrre vasellame e metalli. La storia della tecnologia è la storia della creazione di risorse e siamo sempre stati capaci di creare risorse più velocemente di quanto le consumassimo.
Un fatto fra tanti che lo testimonia è che il prezzo dei generi alimentari come il riso è costantemente calato negli ultimi 250 anni, nonostante l’aumento di popolazione e quindi di richiesta.
Di “naturale” c’è solo… la morte
Visto che qualcuno definisce l’uomo come un cancro per la terra (una definizione che considero oscena) diamo un’occhiata a cosa è naturale e cosa non lo è. Le malattie sono naturali; i disastri naturali sono, per l’appunto, naturali. Dante (e la Divina Commedia), Beethoven, Leonardo e un’enorme schiera di artisti nei paesi occidentali ed in tutte le culture sarebbero ovviamente “innaturali”. A questo riguardo dobbiamo ricordare che, piuttosto che essere un anestetico per l’arte, la tecnologia sospinge lo sviluppo artistico e gli artisti cercano sempre di andare al di là della tecnologia a loro disposizione. Conoscerete certo i magnifici e brillanti colori degli impressionisti o di pittori come
Matisse, ma forse non sapete che gli impressionisti sono stati facilitati da due strumenti molto importanti: il primo è la tecnologia dei tubetti con colori premiscelati, così che questi artisti potevano dipingere esterni facilmente e il secondo è che molti dei colori brillanti da loro impiegati erano fatti con i coloranti a base di anilina, ottenuta dal catrame di carbone: la meravigliosa ingegnosità dell’uomo aveva preso questa zozza cosa nera chiamata catrame e ne aveva tratto magnifici colori. O pensiamo a Beethoven e alle sonate e concerti per pianoforte man mano che lo strumento si evolveva dal punto di vista tecnologico, passando dal piano a 4 ottave e mezza a quello con 5 ottave e mezza (quest’ultimo un prodotto della rivoluzione industriale, dotato di una cornice in acciaio capace di tollerare la maggiore tensione necessaria per creare i suoni più acuti). Come ogni grande artista, Beethoven non solo faceva uso della tecnologia del tempo, ma cercava sempre di andare oltre. Oggi molti concertisti, quando suonano i suoi pezzi per pianoforte, ritengono che egli volesse andare oltre il limite imposto dal piano come esisteva allora, e suonano la musica di Beethoven non come era stata scritta, ma come loro immaginano che lui intendesse suonarla, usando la vasta gamma di ottave che i pianoforti moderni offrono. Quindi, piuttosto che un anestetico, la tecnologia sospinge lo sviluppo delle arti e ogni nuova generazione possiede una gamma sempre maggiore di possibilità artistiche con cui lavorare. Ne è testimonianza grande la cupola del duomo di Firenze che ha dovuto essere rinforzata con cavi perché l’architetto l’aveva creata più grande di quanto la tecnologia del tempo poteva permettere, e questa è una metafora per tutto lo sforzo umano, perché è insita nella nostra natura l’attitudine ad andare oltre noi stessi.
Il progresso dell’umanità dipende da gente che si assume dei rischi, non un rischio frivolo e fine a se stesso, ma gente che rischia per conseguire una grandezza. Oggi ci sono gruppi che vogliono bloccare qualsiasi azione che comporti, secondo l’accusa, un rischio, nonostante tale azione abbia grossi vantaggi potenziali. In realtà il non correre rischi è il rischio più grande che possiamo correre. Abbiamo rischi riconosciuti in Africa, dove non c’è abbastanza cibo e la popolazione cresce, ma costoro vogliono fermare lo sviluppo nelle biotecnologie agrarie a motivo di rischi che non riescono neppure a definire. Questi gruppi ambientalisti vogliono farci preoccupare di cose che non sappiamo neanche se esistano, mentre impediscono che ci si occupi di problemi reali.
La globalizzazione? E’ la storia dell’umana avventura
Non vorrei che passasse l’idea globalizzazione=McDonald. Quando parliamo di globalizzazione parliamo della meravigliosa diversità di storie, culture e tecnologie messe a disposizione di tutti gli uomini. La globalizzazione ci ha dato una più vasta gamma di scelta. Come americano sono assolutamente orgoglioso del fatto che la gente di colore americana abbia contribuito così tanto allo sviluppo del Blues, che a sua volta è stato un arricchimento culturale per tutto il mondo. Nel 1929 il filosofo cinese Hu Shih scriveva a riguardo della nozione romantica che l’Occidente, nella sua prosperità, fosse materialista mentre l’Oriente, nella sua povertà, spiritualista. Hu Shih sosteneva che «materialismo e spiritualismo sono malriposti» e che i termini andassero invertiti: egli trovava infatti altamente spirituale che una civiltà potesse incarnare delle idee in macchinari ed altre opere d’ingegno, sollevando così la gente dalla miseria. Secondo Hu Shih si poteva definire un’automobile materialista, ma egli non riusciva però a vedere proprio nulla di spirituale in un risciò tirato da un essere umano. Non sostengo che la tecnologia sia senza problemi o che non ci siano difficoltà nel mondo a causa della globalizzazione. Dovremo magari usare la tecnologia più intelligentemente o in maniera più umana, ma ne abbiamo bisogno. Nei monasteri medievali il movimento cluniacense ha gettato le basi per la rivoluzione industriale: corsi d’acqua venivano deviati per fare cose del tutto innaturali, come far funzionare mulini e magli. Quella tecnologia è stata propugnata da gente molto pia e il mondo intero ha tratto beneficio dalle loro opere. Vi porto allora un messaggio di speranza e di ottimismo – le quali non discendono automaticamente dal progresso tecnologico – ma speranza ed ottimismo che, se comprendiamo la natura della tecnologia, possiamo creare un mondo migliore per tutti i suoi abitanti.
Sintesi e traduzione a cura di Piero Morandini, ricercatore del Dipartimento di Biologia, Università di Milano
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