

Evviva, l’Italia ha il primo presidente del Consiglio donna! Evviva, gli inglesi hanno il primo premier di origini indiane! Alt, fermi tutti. Giorgia Meloni non è abbastanza donna e Rishi Sunak non è abbastanza indù per le centrali ideologiche del progressismo internazionale. Per cui, da quando sono stati eletti, i liberal hanno cercato di spiegarci in tutti i modi perché non vanno bene. Un esempio, nemmeno più tanto raro, di liberalsplaining, altro che mansplaining. Sarebbe bastato dire «perché sono di destra e quindi non li vogliamo», ma la giustificazione sarebbe stata troppo semplice nella sua (im)plausibilità.
E così martedì alla Camera, la capogruppo del Pd, Debora Serracchiani, ha detto che Meloni vuole che le donne stiano un passo indietro agli uomini, negando l’evidenza di un Consiglio dei ministri e di una Montecitorio completamente rapiti dal discorso della neo inquilina di Palazzo Chigi, che ha citato, per nome, una a una, tutte le donne che hanno ispirato – e continuano a ispirare – la sua attività. Tra queste, anche l’ex presidente della Camera dei deputati, la comunista Nilde Iotti. Poiché apertamente di destra, Meloni è per forza reazionaria e rappresentante di un sistema che si fonda sul patriarcato e sull’abuso delle posizioni di potere da parte degli uomini, meglio – anzi, peggio – se pure anziani.
Poche ore dopo il discorso di Meloni, a Downing Street si è presentato il nuovo premier britannico, il conservatore Rishi Sunak, da tutti esaltato come il primo di origine indiane nella storia del paese. Qualcuno è arrivato perfino a scrivere “non bianco”. Subito, però, Sunak, che peraltro è nato in Inghilterra ed è inglese a tutti gli effetti, ha subìto il tiro incrociato del progressismo anglosassone, che in quanto a sostegno all’identity politics, non vuole certo essere secondo a quello italiano. Così Sunak è stato subito de-induizzato: è milionario – il suo patrimonio è superiore a quello di re Carlo III –, è conservatore, è pro-Brexit, si è fatto strada nel mondo della finanza. Tutte caratteristiche che lo renderebbero sostenitore del sistema capitalista fondato sulla preminenza dell’uomo bianco.
Sulle pagine di Repubblica lo scrittore inglese di origine asiatica Hanif Kureishi ha addirittura affermato che Sunak «rappresenta sì una minoranza etnica ma è un privilegiato: non ha dovuto sudare per iscriversi a un’eccelsa scuola privata come il Winchester College, e poi a Oxford, prima di lavorare per Goldman Sachs». Per la cronaca, i genitori del nuovo premier britannico fanno parte della diaspora indiana espulsa dall’Africa orientale nei primi anni Sessanta del Novecento, e hanno aperto una piccola farmacia a Southampton per mantenersi e tirare su famiglia.
Chiedere al progressismo di non sbandierare l’identity politics idolatrante e di valutare i politici sulla base della loro attività e non del loro sesso e della loro provenienza etnico-sociale, sarebbe troppo. Dall’elezione di Barack Obama in poi l’Occidente ha mitizzato aspetti di genere e razziali in un curioso ribaltamento delle teorie razziste della seconda metà dell’Ottocento e del Novecento. Se prima le minoranze etniche, religiose e sessuali erano vittime di persecuzioni, oggi, al contrario essere donna, essere di una determinata etnia o professare una particolare religione, è un valore in sé, che va oltre il merito – altro termine aborrito da quelle parti – e oltre la persona. Giorgia Meloni è una donna a tutti gli effetti. Rishi Sunak un indù che ieri ha festeggiato il Diwali a Downing Street. I progressisti prendano nota.
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