
Sudafrica, il 15 marzo parte il processo contro lo stupratore di Millicent Gaika
Millicent Gaika è stata legata, torturata e violentata per cinque ore di seguito da un uomo che voleva farla diventare eterosessuale, “guarirla”. Era il 2009 e Millicent aveva trent’anni. La foto del suo volto coperto di lividi ha fatto il giro del mondo: la sua storia è simile a quella di molte altre donne sudafricane, ma lei è una delle pochissime che ha trovato il coraggio di denunciare.
Il prossimo 15 marzo a Città del Capo, la stessa città in cui ogni anno si svolge un chiassoso e frequentatissimo gay pride, inzierà il processo contro il suo stupratore. Il ministro della Giustizia incontrerà alcuni attivisti, che hanno raccolto oltre 130.000 firme, per discutere del problema.
Una ragazza che nasce in Sudafrica oggi, a prescindere dal suo orientamento sessuale, secondo Aavaz ha più probabilità di essere stuprata che di imparare a leggere: una donna su quattro è vittima di violenza, spesso prima ancora di compiere sedici anni. Colpa di una mentalità diffusa e di un contesto sociale spesso e volentieri problematico.
Una delle conseguenze è che nonostante la patria di Madiba, titolo onorifico diventato sinonimo di Nelson Mandela, sia stato il primo paese ad aver dicharato fuorilegge la “discriminazione su base sessuale”, pare che ogni anno in Sudafrica avvengano circa 500 “stupri correttivi”. Dal 1998 sono state uccise almeno 31 donne omosessuali. L’unico caso che si è concluso con una sentenza di colpevolezza è quello di Wudy Simelane, campionessa della squadra di calcio femminile del Sudafrica, orgogliosamente lesbica, uccisa brutalmente con 25 coltellate al volto, al torace, alle gambe. Quando è stato condannato, uno dei suoi aguzzini (tutti tra i 18 e i 25 anni) ha dichiarato ai giornalisti: “I am not sorry”.
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