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Storia di Rudolf Weigl, il medico che combatté i nazisti con i pidocchi

Un libro racconta le rocambolesche vicende di un medico austro-polacco e del suo assistente ebreo, che salvarono molte vite dalla persecuzione nazista e dall'Olocausto utilizzando astutamente le loro ricerche contro il tifo

Cristiana Dobner
26/08/2015 - 1:00
Cultura
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ebrei-ghetto-leopoli-wikipedia

Articolo tratto dall’Osservatore Romano – La propaganda nazista paragonava i pidocchi agli ebrei: come si dovevano estirpare gli uni, così si dovevano estirpare gli altri. I ghetti diventavano quindi il legittimo luogo in cui rinchiudere gli ebrei e i pidocchi e salvare di conseguenza la popolazione tedesca dal contagio del tifo. Infatti, il tanto temuto tifo petecchiale aveva mietuto vittime innumerevoli nelle trincee della prima guerra mondiale, così da causare tanti morti quanti ve ne erano stati in combattimento.

La città di Leopoli, intorno agli anni venti del xx secolo, mostrava un volto cosmopolita. Il giovane medico ebreo Ludwik Fleck aveva lavorato, come assistente, nel fantastico laboratorio di Rudolf Weigl, zoologo austro-polacco, persona geniale ed eccentrica. Lo scienziato aveva sferrato la lotta contro il tifo, cioè contro quegli insetti parassiti che lo diffondevano: i pidocchi. La scoperta che fossero agenti infettivi risaliva all’inizio del secolo.

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Arthur Allen, giornalista americano specializzato in campo scientifico, narra in un libro accattivante, Il fantastico laboratorio del Dottor Weigl (Torino, Bollati Boringhieri, 2015, pagine 373, euro 25), la vicenda dei due scienziati, nella Leopoli occupata dai nazisti nel 1943.

Ludwig Fleck che nel 1935 aveva dato alle stampe una ricerca che sarebbe diventata celebre e imprescindibile per l’epistemologia, Genesi e sviluppo di un fatto scientifico, dovette sottostare a un esame beffa di batteriologia da parte del dottor Bruno Weber delle SS, per poi essere a capo dell’istituto di igiene nel lager di Auschwitz. Da beffa a beffa.

Con quale procedura Rudolf Weigl produceva il vaccino anti-tifo? In quattro fasi ben determinate: le larve di pidocchio dovevano essere nutrite da sangue umano, estratto da donatori volontari con le cosce e i polpacci succhiati dai voraci insetti per dodici giorni; nei pidocchi sani si iniettava il batterio del tifo, ottenuto da pidocchi infetti e si lasciavano crescere per altri cinque giorni; si omogeneizzavano e si centrifugavano quindi gli intestini dei pidocchi infetti, colmi del sangue umano. La profilassi antitifica del vaccino Weigl era la migliore esistente allora in Europa.

L’operazione Barbarossa, scattata nel giugno 1941, aveva soppresso gli intellettuali di Leopoli e iniziato lo sterminio pianificato degli ebrei. Alti esponenti nazisti si diressero in via San Nicola da Rudolf Weigl, al laboratorio con le tecniche di ricerca e sperimentazione più avanzate nel mondo. Gli fecero la lusinghiera proposta di una cattedra a Berlino e il loro appoggio per ottenere il premio Nobel. Offerta non gratuita indubbiamente ma dipendente dalla produzione del vaccino a favore dell’esercito nazista schierato alla frontiera est del Reich.

Rudolf Weigl non cedette. Tuttavia, si piegò alla fornitura del vaccino con migliaia di dosi inviate alle SS, alla Wehrmacht, agli Einsatzgruppen.

Tutto questo lavoro scientifico però si dimostrò un’ottima copertura per l’intento che Rudolf Weigl mise in atto per giocare i nazisti: la resistenza polacca, gli abitanti di Leopoli in pericolo, da mille a tremila matematici, insegnanti, biologi, musicisti, romanzieri, molti attivi clandestinamente, divennero “alimentatori” dei pidocchi oppure ottennero documenti falsi. Quindi fu il sangue degli intellettuali oppressi a salvare dal tifo l’esercito nazista!

Rudolf Weigl però non poté fare nulla per il suo stimato collega Ludwik Fleck: l’ebreo non poteva alimentare con il proprio sangue i pidocchi. Per di più era confinato nel ghetto. Rudolf Weigl rallentava la consegna ai tedeschi, però lentamente perse la sua autonomia.

Una grande forza d’animo sorresse Ludwik Fleck e, proprio nel ghetto dove il tifo imperversava, sperimentò un nuovo vaccino, questa volta tratto dall’urina dei malati di tifo.

L’ufficiale sanitario delle SS, il dottor Bruno Weber, ne rimase colpito e fece trattare bene Ludwik Fleck deportato ad Auschwitz. Significava godere di un trattamento di favore, dapprima in una stanza del magazzino del lager, detto Kanada, successivamente alla direzione del laboratorio sierologico all’istituto di igiene. Il vaccino assumeva una priorità dettata dalla necessità di sopravvivere.

Ludwik Fleck, sotto il controllo di una persona senza scrupoli morali come il dottor Erwin Ding, e prigioniero nel centro dell’orrore del lager di sterminio in cui i deportati erano letteralmente delle cavie, si beffò dei suoi aguzzini.

Con un rischio continuo Ludwik Fleck, insieme con altri scienziati prigionieri a Buchenwald nel blocco 50, produsse il vaccino ma in due versioni diverse: l’una inerte, consegnata alle SS, l’altra efficace ai prigionieri del campo. L’inganno non trapelò mai.

Ludwik Fleck sopravvisse all’orrore del lager, rimase in Polonia fino al 1957 e fu professore all’università di Lublino e Varsavia. Emigrò poi in Israele oppresso dal cumulo di accuse di collaborazionismo pendenti sul suo operato. Analoghe accuse colpirono anche Rudolf Weigl e non lo abbandonarono fino alla morte, sempre nel 1957. Nel 2003 però lo scienziato è stato riconosciuto Giusto fra le Nazioni dallo Stato d’Israele.

Tags: ebreiLeopolinazismoolocaustoshoahtifo
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