Statlismo, un tiranno in guanti bianchi

Scrive Vasilij Grossman: «Un tempo pensavo che la libertà fosse la libertà di parola, di stampa, d’opinione. Ma la libertà è tutta la vita di tutta la gente; ecco cos’è: è il diritto di seminare quel che vuoi, di fare scarpe, soprabiti, di cuocere il grano che hai seminato, per venderlo o non venderlo, come vuoi tu; e anche se fai il meccanico, o il fonditore, o l’artista, vivi e lavora come vuoi tu, e non come ti ordinano. Invece non c’è libertà né per chi scrive libri, né per chi coltiva il grano o fa stivali».
Sembra strano ed eccessivo pensare che questo possa riguardarci. Quanto accaduto in Iran e Palestina mostra che elezioni libere e democratiche possono portare al potere élites conniventi con il terrorismo internazionale.
Più ancora, Pasolini scrisse cosa voglia dire l’omologazione, mostrando come scuola, televisione, giornali, possano diventare strumenti di indottrinamento di massa.
Guareschi, in uno dei suoi ultimi racconti, “Don Camillo e i giovani d’oggi”, ha messo in luce l’ipocrisia di quel falso progressismo laico e cattolico che difende il povero e il dialogo astratti, umiliando il povero reale e mortificando il dialogo tra uomini veri in schemi oppressivi.
Quindi la frase di Grossman ci riguarda, eccome, perché siamo anche noi vittime di uno statalismo che ci opprime in guanti bianchi. Ci danno la libertà di votare, ma con leggi e leggine ci impediscono di costruire, di organizzarci e organizzare in modo autonomo. Del resto la mortificazione della sussidiarietà, nei programmi e nei fatti, è all’ordine del giorno.
Come reagire a questa omologazione strisciante?
A questa oppressione ideologica della libertà, Guareschi reagì col “suo Cristo”: «Se qualcuno si sente offeso per via dei discorsi del Cristo, niente da fare, perché chi parla nelle mie storie non è il Cristo, ma è il mio Cristo, cioè la voce della mia coscienza».
Don Luigi Giussani, riprendendo la tradizione della Chiesa, ne mostra il carattere affettivo chiamandolo “cuore”, quell’infinito che alberga in noi, a cui dobbiamo paragonare ogni nostra azione per non ridurla, per non creare una società sazia e disperata, per non pensare che la politica porti la felicità.
Quel che ci dice Grossman ci riguarda perché pochi ci insegnano a giudicare col cuore e perciò a cercare una vera libertà e a riconoscere chi, se seguito per le vie del mondo, può darcela.
* Presidente Fondazione per la Sussidiarietà

Articoli correlati

0 commenti

Non ci sono ancora commenti.