Da quando la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha scoperto che la pubblicità può essere un ottimo strumento per promuovere la propria immagine, le è venuta la mania degli spot; per arginare le stragi del sabato sera, per promuovere il pesce azzurro fino ai nuovi esami di maturità: uno dietro l’altro, come fossero noccioline, uno più brutto dell’altro, come fossimo tutti dei babbei. L’ultimo, e magari lo fosse, è come gli altri abbastanza scriteriato: immagini accelerate, come in un film di Charlot, di un mare di ombrelloni, di un mare di gente che si muove freneticamente sopra una musichetta insignificante. Uno speaker e un titolo in sovraimpressione concludono: “Riviera adriatica. Un mare di sole, un mare di pace.”. Si sono ubriacati tutti, viene da dire: da questo spot emerge solo un mare di confusione che contrasta totalmente con la promessa del claim. Sembra tale l’affanno di comunicare che in quei lidi, finita la guerra nei Balcani, non si corre più alcun pericolo (“un mare di pace”) che si sono dimenticati di dirlo con la chiarezza e la creatività che contraddistingue le campagne più efficaci. Ma l’avranno visto questo film alla Presidenza prima di mandarlo in onda? Probabilmente sì; o probabilmente hanno visto solo il cartello finale blu con la firma e lo stemma della Repubblica. Tutto il resto ha poca importanza: ultimamente la comunicazione di Stato ha un debole per campagne che sembrano fatte tutte dalla stessa mano. Possibilmente “sinistra”.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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