
Tentar (un giudizio) non nuoce
Spiritualità, salute e cura

Il legame tra spiritualità, salute e cura è un tema che raramente viene affrontato. Mi è capitato di farlo qualche tempo fa in un convegno. Ho provato a immaginare come avrebbe potuto svolgersi un dibattito in Consiglio regionale su questo argomento: quali tifoserie contrapposte si sarebbero schierate per sostenere che spiritualità e salute non hanno nulla a che fare l’una con l’altra, e altri a difendere il contrario. L’argomento è invece, profondamente serio ed influisce sulla nostra razionalità e a mio parere anche sulle politiche sanitarie.
Teniamo presente che la parola “spiritualità” è oramai considerata desueta, addirittura vecchia, stantia. Tuttavia, nulla come la malattia ci ricorda che non siamo solo esseri materiali. Una patologia, soprattutto quando è grave, come nel caso di un tumore, porta con sé un grido inarrestabile che va oltre il semplice bisogno di cura del corpo. Questo bisogno si manifesta nella richiesta di umanizzazione. Anche la sanità ha un’esigenza intrinseca di umanità che non può essere ignorata e che si riflette nella relazione tra medico, operatore sanitario e paziente. Chi di noi non ha mai sentito un amico malato dire: “Da quel medico non ci tornerò mai più, perché mi ha detto le cose in un modo che non riesco ad accettare, così diretto e freddo”? Al di là dell’aspetto tecnico della cura, c’è una necessità umana che non può essere trascurata.
Oms e Costituzione
Ma c’è anche un secondo aspetto: la malattia è attesa di salvezza, non solo di salute. Talvolta in noi sembra prevalere una visione prometeica, non realistica, per cui, se la sanità funzionasse non dovremmo morire mai. Ma non è così e in questo modo la partita della salute è già persa in partenza: si può vincere una battaglia, ma la guerra si perde sempre, perché alla fine moriamo tutti. Allora c’è un bisogno di salvezza che è più della salute. La salute non ci basta.
Questo bisogno di salvezza, che va oltre la semplice salute, apre così un interrogativo su cosa sia davvero la salute. È solo l’assenza di una malattia? Se guardiamo alla definizione dell’Oms, la salute è «uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale». Tuttavia, un diritto formulato così è praticamente inesigibile: chi può davvero garantirlo?
Ciò solleva una riflessione sull’articolo 32 della Costituzione: «La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». È l’unica volta che nella Costituzione un interesse generale della collettività viene associato ad un diritto fondamentale dell’individuo, il che chiarisce la capziosità di molte delle discussioni sulle vaccinazioni emerse durante la pandemia di Covid. Credo che dovremmo interpretare quanto dice la Costituzione come piuttosto un diritto alla cura, più che alla salute, ovvero il diritto di essere assistiti adeguatamente, anche quando non è più possibile restituire la salute. Questo aspetto è cruciale anche per vicende politiche contingenti, penso alla legge sul fine vita che stiamo discutendo in Consiglio regionale. Al di là di come andrà a finire a livello legislativo, il tema rimane centrale per il presente e per il futuro.
Non dipende dalla propria volontà
Qual è la vera alternativa al fine vita? È la possibilità di avere cure dignitose, cure palliative che accompagnino nel rispetto alla dignità umana, fino all’ultimo istante di vita, anche quando la salute non può essere restituita. Perché anche quando non si può più guarire, si può sempre curare.
Questo, a mio avviso, è un tema che riguarda profondamente il sistema sanitario, la sua organizzazione e il suo funzionamento. In questo contesto, la spiritualità non è qualcosa di esterno alla sanità, ma ne fa parte integrante. C’è una dimensione della sanità che riguarda questo bisogno della persona, più profondo della sola salute, intesa come mera risoluzione della malattia, che non può essere trascurata. Qui sta l’essenza della differenza tra salute e cura. Che cos’è l’umanizzazione delle cure se non l’affermazione che l’uomo è più di una macchina da aggiustare, che c’è qualcosa che ha a che fare con la dimensione più profonda della nostra umanità dolente, che trascende il corpo e si rivolge all’anima e allo spirito? Addirittura, dovremmo domandarci se questa dimensione umana e spirituale della cura non dovrebbe essere in qualche modo codificata, attraverso appositi protocolli.
L’uomo per natura non vuole morire. La morte è l’unico gesto che avanza in contrapposizione al desiderio dell’uomo, che è la vita. Al cospetto di questo l’”Io” deve confrontarsi con qualcosa che non dipende dalla propria volontà. Questo è un dato e tale meccanismo dovrebbe sempre insegnarci a stare nella convivenza con quanto ci accade. A questo dato dobbiamo rispondere. La società moderna rifugge da tutto ciò, perché è saltata l’identità di sé, cioè la consapevolezza che la vita non è data da noi. Si tratta di un errore all’origine, una miopia dello sguardo. La vita è un fatto, la morte è un fatto. Se ci confrontiamo con questi eventi diventa impossibile non porsi la domanda. Senza la medesima non si può cogliere più l’umano e si elimina l’uomo. Esattamente come farebbe un sistema sanitario pensato solo per restituire la salute, anziché il prendersi cura della persona in tutte le sue dimensioni, inclusa quella spirituale.
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