Sono jihad, e me ne vanto

Di Rodolfo Casadei
19 Agosto 2004
PARLA UN ESPONENTE DEL FONDAMENTALISMO ISLAMICO: IL JIHAD E' UNA NECESSITA' DIFENSIVA PER I MUSULMANI. IL CAMPO DI BATTAGLIA? IRAK, PALESTINA E AFGHANISTAN ANZITUTTO. IL NEMICO NUMERO UNO? GLI USA E ISRAELE

Alle pareti, in mezzo alle foto in bianco e nero incorniciate di papà Ahmed e di zio Adel, c’è un acquerello che lo ritrae dietro alle sbarre, mentre si rivolge ad un invisibile giudice. Come tutti gli esponenti islamisti di rilievo Magdi Hussein, per sei anni direttore dell’incendiario trisettimanale Al-Shaab, organo ufficiale del partito laburista egiziano, ha trascorso vari periodi in carcere, per un totale di due anni. Partito e giornale sono stati sospesi nel 2000 dalle autorità con motivazioni spurie, in realtà per la ragione che entrambi erano stati trasformati da Magdi e zio Adel in una propaggine dei Fratelli Musulmani, l’organizzazione fondamentalista fuorilegge. L’intervista che questo ex marxista divenuto islamista ci rilascia nel suo appartamento sull’isola di Rhoda, a poche decine di metri dalle rive del Nilo nella parte meridionale del Cairo, è un’esperienza estremamente istruttiva.

Dottor Hussein, oggi in Egitto si fa un gran parlare di “nuovi islamisti” e del partito moderato che vorrebbero costituire. Che succede, vi siete convertiti alla democrazia?
Oggi le principali correnti islamiste sono tutte moderate, in Egitto e nel resto del mondo musulmano. Tutto quel che vogliamo è pluralismo politico, libere elezioni, democrazia dell’alternanza. Il problema è che il governo sa che perderebbe una libera elezione contro di noi, sa che raccoglieremmo fra il 30 e il 40 per cento dei voti.

Ma come sarebbe il vostro Stato islamico? Ci sarebbe posto per i non musulmani, per i diritti delle donne, per la tolleranza sociale?
Certo, a tutti sarebbero garantiti i diritti di cittadinanza. Nessuno sarebbe forzato a diventare musulmano: nell’islam non c’è costrizione, lo dice il Corano. Sarebbe uno stato democratico, dove si può criticare il governo ed il governo non può invocare la religione per porsi al di sopra delle critiche, come nelle teocrazie dell’Europa medievale. E non abbiamo nessuna intenzione di introdurre le huddud, le pene corporali. Cambierebbe il sistema economico, la politica estera, non la vita quotidiana.

Cosa cambierebbe nell’economia e nella politica estera?
Anzitutto diventeremmo uno Stato veramente indipendente, non più governato dall’ambasciata degli Stati Uniti, come siamo adesso. Avvieremmo un grande progetto per l’unione economica e doganale di tutti i paesi musulmani, dal Marocco al Bahrein, per metterci al passo della Ue, del Nafta, dell’Asean e di tutte le altre integrazioni regionali.

Nel maggio scorso sono stati arrestati una quindicina di presunti membri dei Fratelli Musulmani. Fra le accuse, anche quella di reclutare e addestrare combattenti da mandare a compiere il jihad in Palestina, Irak e Cecenia. Cosa ne pensa?
È una falsità, i Fratelli Musulmani non agiscono così. Magari fosse vero. Non è un crimine mandare gente in Palestina, in Irak, in Afghanistan a combattere l’occupazione. Le convenzioni di Ginevra ammettono il diritto dei popoli a combattere un’occupazione militare. Anche da voi in Italia qualcuno ha raccolto fondi per finanziare la resistenza irakena. Ma sono certo che i Fratelli Musulmani non hanno fatto queste cose, purtroppo.

Si spieghi meglio. Che cos’è per lei il jihad? In quali aree del mondo i musulmani hanno diritto di praticarlo?
Il jihad è lo sforzo per fare del proprio meglio per essere obbedienti a Dio ed ai suoi insegnamenti. Il jihad può essere contro i governanti, se sono ingiusti, o contro se stessi per resistere alle tentazioni del demonio. Se un paese musulmano viene attaccato, o si ritrova occupato, o la sua gente è scacciata dalla sua terra, allora il jihad è dovere di combattere militarmente. Quando paesi come Irak, Palestina e Afghanistan si ritrovano occupati, ogni loro cittadino ha il dovere di prendere le armi. Se non ce la fanno da soli a liberarsi, i loro vicini musulmani hanno il dovere di aiutarli. Insomma, il jihad è una guerra difensiva, e non è una guerra per far cambiare religione agli altri popoli. È fatta per evitare lo sterminio dei musulmani, come in Bosnia o in Kosovo.

Anche la Cecenia e il Kashmir sono terre di jihad?
Certo, perché i musulmani che vivono lì sono stati costretti a sottomettersi a non-musulmani con la forza, ma noi pensiamo che oggi il nemico principale siano gli Stati Uniti ed Israele. Se ci fosse un vero Stato islamico punto di riferimento, questo dovrebbe agire secondo la seguente strategia: negoziare una soluzione pacifica delle crisi in Cecenia e Kashmir, concentrare il jihad contro gli Usa e Israele. Ma purtroppo noi musulmani siamo divisi, e allora ogni gruppo ha la sua strategia e pratica il suo jihad.

Quale statuto attribuite a quegli stranieri che, pur non appartenendo agli eserciti delle potenze occupanti, operano per varie ragioni nei paesi dove secondo voi è lecito condurre il jihad?
È ovvio che chi è entrato in quei paesi al seguito degli americani partecipa all’occupazione. Se gli italiani e gli spagnoli entrano in Irak al seguito degli americani, perché dovrei fare differenza fra gli americani da una parte, gli italiani e i bulgari dall’altra? Non possono vantare nessun tipo di legittimità. Perciò chiediamo a tutti gli stranieri, sia militari che civili, di non andare in Irak, perché gli americani lo hanno occupato per controllare tutto il petrolio del Medio Oriente e ricattare la Cina, l’Europa e tutto il resto del mondo.

La risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’Onu del giugno scorso dovrebbe conferire sufficiente legittimità alla presenza italiana in Irak. Per voi non conta nulla?
Il Consiglio di sicurezza si era dichiarato contrario alla guerra, se adesso cambia idea dimostra di non agire in base a princìpi, ma solo ad interessi. È in gioco la libertà di noi arabi, siamo noi che dobbiamo dire che cosa è legittimo e cosa no, non il Consiglio di sicurezza. Cosa fa l’Onu per salvaguardare le nostre donne ad Abu Ghraib? Dov’è la democrazia? Ci sono 8mila irakeni in prigione, gli americani continuano a uccidere la gente e non possono essere processati dal Tribunale penale internazionale. L’Irak è un paese civile, la resistenza è la giusta reazione alla stupidità degli americani che credevano di essere accolti dalla popolazione.

Cosa pensa di Al Qaeda? Le sue azioni sono terrorismo, jihad o parte di una cospirazione?
Al Qaeda è una reazione all’aggressività della politica americana contro gli arabi ed i musulmani. Si tratta di gente che constata l’aggressione contro la Palestina e l’Irak, la presenza di basi americane in tutto il mondo arabo, e vede che nessun paese islamico organizza un jihad contro queste aggressioni, anzi molti di essi collaborano con gli aggressori. Allora cercano di mettere in crisi queste alleanze. Ripeto: se avessimo uno Stato di riferimento, faremmo il jihad come va fatto. Così, invece, ognuno prende iniziative personali. Sia chiaro, comunque: in Irak approviamo qualunque operazione da parte di chiunque, anche di eventuali volontari non musulmani.

Cosa pensa dei fatti dell’11 settembre? È stato un attacco terroristico, un’operazione di jihad o il risultato di una cospirazione?
Non credo alla teoria della cospirazione, credo che sia stata veramente Al Qaeda ad agire. Ma ripeto: si è trattato di una reazione. Ovunque noi musulmani siamo attaccati, vogliono cambiare la nostra educazione, il nostro Corano, il nostro modo di vivere, il nostro modo di mangiare. Da quando Allawi ha preso il potere già duemila irakeni sono stati uccisi o feriti. Per noi arabi è sempre l’11 settembre: dal 1948 ad oggi in Palestina sono morti 300mila palestinesi, in Irak per la guerra e le sanzioni sono morti 2 milioni di irakeni, in India sono capaci di uccidere mille musulmani in un giorno. Così la gente reagisce, ma non è un vero jihad, che è guerra sul campo di battaglia con veri eserciti. Questi gruppi di gente frustrata cercano di inventarsi qualunque cosa pur di agire.

Leggendo i giornali del Cairo ho notato che molte pagine sono dedicate alle sofferenze degli irakeni e dei palestinesi, ma poche alle vicende del Darfur. Non sono musulmani sofferenti anche gli abitanti del Darfur, vittime di massacri e stupri?
Il problema è che i media occidentali vogliono stabilire loro la lista delle priorità. Perché Kofi Annan e Colin Powell vanno nel Darfur anziché andare a Gaza a fare pressione su Israele perché smetta di uccidere donne palestinesi? Dietro il Darfur c’è la mano di qualcuno, degli americani o della Libia. Perché questa è la prima volta che sento di una ribellione armata per avere più scuole e più strade: obiettivi molto strani per una lotta armata. Ma questi ribelli ricevono denaro, aiuti e copertura mediatica, e tutti dicono: Darfur, Darfur, Darfur! Fino al punto che Falluja e Gaza passano in secondo piano. Il governo sudanese ha fatto per il Darfur, in termini di scuole ed ospedali, più di quanto fosse mai stato fatto prima. Se vogliono di più, questo non era il modo giusto per chiederlo: adesso il loro problema non può più essere risolto.

Dottor Hussein, per finire: cosa prevede per l’Egitto se non ci saranno le riforme che voi auspicate?
L’ho detto tante volte in passato e lo ripeto: senza vere riforme, ci sarà un’esplosione. Non saprei dire quando, né sono in grado di entrare nei dettagli, ma senza riforme reali in Egitto si arriverà ad un’esplosione.

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