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Sodoma. Un momento di verità sotto la coltre di ideologia omosex

Mentre inizia in Vaticano il summit sulla pedofilia nella Chiesa, piomba nelle librerie l'inchiesta di Frederic Martel sui preti gay. Recensione contromano

Luigi Amicone
21/02/2019 - 4:00
Chiesa
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Frederic Martel, autore di "Sodoma"

Oggi, 21 febbraio 2019, si apre il summit in Vaticano che affronterà il problema della pedofilia nella Chiesa. Il Papa e 114 presidenti di Conferenze episcopali di tutto il mondo, 14 capi di Chiese orientali, 22 responsabili di ordini religiosi e 14 curiali si immergeranno in conferenze, ognuna delle quali si concluderà con momenti di preghiera e testimonianze di vittime di abusi sessuali. Nello stesso giorno esce in libreria e, verosimilmente, piomberà rapace sui tavoli dell’élite ecclesiastica riunita a Roma, un poderoso saggio-inchiesta su Chiesa e omosessualità del sociologo francese Frédéric Martel. Edito contemporaneamente in una ventina di paesi e tradotto in otto lingue. In Italia esce per Feltrinelli.

Il titolo è in apparenza provocatorio. Sodoma. Ovvero vita e costumi dell’élite ecclesiastica vaticana raccontata dall’interno del collegio cardinalizio, dai nunzi apostolici, da preti, seminaristi e monsignori. Ne esce fuori uno spaccato di Chiesa cattolica, a dir poco, inimmaginabile. Come minimo, sembrerebbe la conferma sul campo di ciò che al tempo di papa Ratzinger documentò un saggio di Dariusz Oko, “Con il Papa contro l’omoeresia nella Chiesa”. La conferma di una vera e propria eresia gay, annidata tra i più altri vertici del clero. La sorgente di tutti gli scandali dell’ultimo decennio, Vatileaks 1, 2 e gli altri che stanno per arrivare.

«Il mondo che ho scoperto, con le sue 50 sfumature di gay, è incredibile». Per quattro anni Martel gira il mondo e si immerge nella vita della comunità ecclesiastica in Vaticano. Intervista in tutti i continenti sacerdoti, nunzi e vescovi. Riceve e registra testimonianze di prima mano dall’interno dei seminari e delle famiglie di religiosi. L’intento dichiarato dall’autore non è il “name and shame”, fare i nomi del clero gay ed esporli in pubblico. L’intento sarebbe piuttosto sovversivo. «Cinquant’anni dopo la rivoluzione gay negli Stati Uniti, il Vaticano è l’ultima roccaforte da liberare».

Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome Tempi a Caorle per il Premio Luigi Amicone 2023 - Chiamare le cose con il loro nome
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Inoltre si vorrebbe dimostrare come Francesco sia «il più gay-friendly dell’epoca contemporanea». E perché, in chiave omosessuale, è l’epoca della «fine delle vocazioni». Essere della “parrocchia” in Vaticano sarebbe sinonimo di appartenenza alla comunità gay. Ma «il carnevale è finito» dice papa Bergoglio. «Questo argentino ha cominciato a smascherare i giochetti di connivenza e solidarietà omosessuale che si sono sviluppati di nascosto con Paolo VI, si sono amplificati con Giovanni Paolo II, per poi diventare ingovernabili con Benedetto XVI accelerandone la caduta». Suggestivo. «Ecco il papa: è a Sodoma. Francesco si è detto che si trova “tra i lupi”. Non è proprio così: è tra le Folli».

Visto di cosa si parla («un sistema dove otto su dieci sono omosessuali» e «tre degli ultimi cinque papi sono omofili, come la maggioranza dei segretari di stato, cardinali e vescovi»), in che contesto («il Vaticano, la più grande comunità gay del mondo»), e immersi in quale milieu ideologico globale, sulle prime non possono che prevalere sospetto e pregiudizio. Bisogna proprio fare lo sforzo di superare gli insulti ai papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, i toni sarcastici contro i cosiddetti “conservatori”, lo stile beffardo, in generale, nei confronti dell’intera vita e personale ecclesiastici, e arrivare in fondo. Per capire che in fondo alle seicento pagine, sotto la coltre di dandismo, imprecisione, errori, e una sorta di arianesimo omosex, mix di arroganza e di ideologia egemonica (i noiosi corsi e ricorsi dell’accusa di “omofobia” per marchiare il diversamente pensante, cioè “l’omosessuale represso o latente”), la storia ci sta. La confessione è vera.

«Il mondo che ho descritto in questo libro non è il mio. Io non sono cattolico. Non sono neanche credente, benché mi renda conto dell’importanza della cultura cattolica nella mia vita e nella storia del mio paese, un po’ come quando Chateaubriand parla del “genio del cristianesimo”. Non sono nemmeno anti-clericale e, d’altronde, questo libro non è rivolto contro il cattolicesimo ma, anzitutto e prima di ogni cosa, al di là di quel che si possa credere, è una critica alla comunità gay – una critica contro la mia stessa comunità».

È forse anche un modo di chiedere scusa alle decine di chierici avvicinati e fatti parlare con chissà quale scusa nobile. E poi rappresentati rimbaudianamente (Martel usa le maiuscole solo per il Poeta, Rimbaud, ma Francesco come ogni Papa è solo il «santo padre»). Baconianamente (il pittore Francis Bacon che ritrae cardinali dalle facce straziate e contorte, e qui il sociologo sembra sul punto di rivelarci ciò che non ha capito neanche il filosofo Deleuze, e cioè la spiegazione razionale, direbbe Vasco, “a quelle facce lì”). E infine pasolinianamente. Ecco, il solo fatto di aver scritto una nota conclusiva autocritica è la prova che l’operazione ideologica infine è stata stravolta da una certa dinamica esistenziale autentica. Mi viene in mente il giovane Pier Paolo Pasolini dei primi anni Cinquanta. Omosessuale fatto oggetto di ricatti da parte del clero per le sue idee comuniste e, paradossalmente, espulso col marchio della “indegnità morale” dal “suo” Partito comunista. Pasolini che nei giorni dello scandalo e dell’espulsione confesserà all’amico Carlino, attivista del Pci, «non mi meraviglio della diabolica perfidia democristiana, mi meraviglio invece della vostra disumanità».

Oltre un mezzo secolo dopo, fatta la tara alla politica editoriale e al sistema obamiano che stanno dietro al giornalismo sociologico alla Martel, Sodoma è una storia così vera, ha un fondo di autenticità così evidente (e così devastante il perbenismo moralisteggiante), che l’ispirazione fondamentale di questo libro dovrebbe essere brandita ed esaminata a fondo. Lo si intuisce da due storie personali che aprono e chiudono il poderoso dossier. Che per il resto corre tranquillo e astuto sul filo del disprezzo per l’ipocrisia e la perfidia clericale. Due storie che rappresentano neanche una dozzina delle 600 pagine. Ma che hanno una collocazione chiaramente illuminante e luminosa all’inizio e in coda al volume.

Ovverosia, la storia del fondatore dell’Arcigay, Marco Bisceglia, prete siciliano che morirà riaccolto e pacificato tra le braccia di madre Chiesa (prete che però Martel non conosce se non per il lato militante). E, soprattutto, la storia in coda, quella dove l’autore ritrova la sua giovinezza, al seguito di un prete ammirabile e dal Nostro ammirato. Ecco, per parlare di padre Louis, morto in disperazione e solitudine di Aids, abbandonato da tutti i suoi amici preti ed ecclesiastici, per parlare di questa disumanità grande, Martel cambia completamente registro e addirittura caratteri editoriali. Confessa:

«Il dialogo con Dio – e con padre Louis – si interrompe quando iniziai il liceo ad Avignone. Non ho mai odiato il cattolicesimo – l’ho semplicemente dimenticato».

Pulizia? Cambiamento? Riforme? O per dirla con il cardinale di Chicago, il Nuovo Corso, apertura del summit antipoedofilo in Vaticano, lingua da consigli di amministrazione, «responsabilità, accontability and trasparency»? Sono queste le armi per combattere gli abusi e far rinascere la Chiesa? Bisogna tornare alle gole profonde di Martel. Ascoltare le risposte dei più apprezzati e stimati porporati progressisti. Per esempio il cardinale che sulla comunione a divorziati risposati introdusse i lavori del Sinodo con una relazione contrastata solo dai “dubia” di quattro porporati. Martel riferisce di Walter Kasper che sarebbe tra i pochi “sicuri” eterosessuali in Vaticano. Il progressista per antonomasia. E il miglior alleato di questo papato. Eppure… «”Vinceremo”, mi dice Kasper. E quando pronuncia queste parole vedo improvvisamente il bel sorriso del cardinale, peraltro generalmente austero». Passano due righe, e sul “bel sorriso del cardinale” che legge ogni giorno il laico e illuminato Frankfurter Allgemeine, cala il sipario. Parla del suo paese e si confida con Martel:

«Vede, questa è la realtà. Il mio villaggio in Germania. Ritorno nella mia regione ogni estate. Ci sono campane, chiese. Allo stesso tempo, oggi, le persone non vengono più a messa e sembrano essere felici senza Dio. Questa è la grande domanda. Questa è la mia preoccupazione. Come ritrovare il cammino di Dio? Mi sento perso. Abbiamo perso la battaglia».

Infatti. Si può vincere con l’arcobaleno di Obama tutte le battaglie politicamente corrette del mondo. Ma a cosa serve? Non c’è Cda né programma pastorale che possa cambiare le cose. Non c’è teatro allestito per la denuncia delle vittime, che possa fermare il sangue delle ferite. Soprattutto, non sembra che al male supremo, il “clericalismo”, denunciato da papa Francesco, si possa rispondere con un clericalismo uguale e contrario, rigido e ottuso, anche se di segno opposto. Se vuoi cambiare, pulire, riformare, forse devi semplicemente tornare a tutto quello che rende interessante e ragionevole il cristianesimo. Cioè umano.

Dunque, anche il Sodoma di Martel (come le marxiste, terribili e disperate 120 giornate di Sodoma pasoliniane) può servire a capire che il problema è di natura esistenziale, più che dottrinario e morale. Come fa a permanere nella sua proposta, il cristianesimo, e a rimanere indimenticabile anche se tutti lo avessero dimenticato, ecclesiastici compresi? Questo è il punto. Come aveva intuito Walter Benjamin, non camminiamo in mezzo a una favola ma dentro a un dramma: è il problema della verità come ragione, avvenimento, incontro, esperienza, vita. Infatti, per fare il verso a un buon racconto di Flannery O’Connor, scrittrice americana che un altro sacerdote tirato in ballo da Martel, padre Antonio Spadaro, ha scoperto e purtroppo smesso di citare, cose come la morale, l’etica, la pastorale, la scelta per i poveri, per le vittime eccetera, sono tutte cose che potrebbero essere buone. Buone come la famosa donna che «sarebbe stata una buona donna, se quand’era viva le avessero sparato ogni cinque minuti».

Foto Ansa

Tags: vaticanowalter kasper
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