
Società parallele
Che la signora abbia un certo gusto per la provocazione è indubbio. Necla Kelek – nata a Istanbul nel 1957 ed emigrata in Germania nel ’68, già docente di sociologia delle migrazioni presso la Evangelischen Fachhochschule für Sozialpädagogik di Amburgo – è un’intellettuale che ama i pensieri e le parole forti. Ne sono testimoni i suoi numerosi articoli sulle maggiori testate tedesche. Spirito anticonformista, Necla Kelek è l’autrice del bestseller La sposa straniera (2005) grazie a cui ha ricevuto il Premio “Fratelli Scholl” della città di Monaco. è stato in occasione del conferimento dell’onorificienza che la sociologa ha dichiarato il proprio amore per la Germania e ha lanciato pesanti accuse verso i turchi per la fallita integrazione all’interno della società tedesca («vivono in Germania secondo le regole del loro villaggio anatolico»). Da quel momento le critiche nei suoi confronti si sono inasprite, fino alla pubblicazione sulla Die Zeit di un appello contro la Kelek e le sue colleghe d’origine turca (Seyran Ate?, Sonja Fatma Bläser, Serap Çileli) firmato da sessanta studiosi e sociologi dell’immigrazione. La risposta non si è fatta attendere: piuttosto, ha contrattaccato la sociologa, a scontare le conseguenze di questo colpevole autoinganno non sono gli accademici in cattedra, ma le tante e indifese donne musulmane. Con lo scrittore Ralph Giordano, la Kelek ha recentemente espresso una ferma opposizione al progetto di costruzione della grande moschea di Colonia.
Signora Kelek, perché teme che la società occidentale andrà dividendosi sempre più in gruppi e società parallele?
Faccio un esempio: il quartiere attorno al grande porto di Amburgo è abitato in maggioranza da portoghesi, ma lì nessuno percepisce una società parallela. Eppure ci sono locali dove si fa musica lusitana, ci sono ristoranti, associazioni sportive e scuole bilingue: ma tutto questo rende culturalmente più ricca la città. è una bella dimostrazione di come si possa preservare un’identità culturale diventando a tutti gli effetti un cittadino tedesco. La situazione è differente nelle enclavi musulmane dei quartieri di Wilhelmsburg e Vettel, sempre ad Amburgo, o in alcune zone di Berlino, dove le donne-poliziotto non possono fare la ronda perché non vengono accettate dagli uomini che risiedono in quei quartieri, oppure dove ci sono clan arabi che appianano le controversie sorte al loro interno attraverso tribunali di pace autocostituitisi, indipendenti dall’organizzazione della giustizia. Gli uomini si concepiscono come musulmani, turchi o arabi. La cultura di appartenenza dà loro un’identità intesa come delimitazione rispetto alla cultura maggioritaria, non come arricchimento. Si può calcolare che, soprattutto nelle grandi città, nei prossimi anni circa il 40 per cento della popolazione possiederà il cosiddetto “retroterra migratorio”. La società accogliente non potrà restare a lungo la società di maggioranza. Se non convinciamo gli immigrati che i valori di questa società regolano la convivenza umana per il bene del singolo, allora la nostra democrazia e la pace sociale risulteranno seriamente minacciate.
Come descriverebbe la “libertà” così com’è è concepita e vissuta nelle società musulmane, in particolare dalle donne?
Da giovane chiedevo a mia madre quando sarei diventata libera. Mi rispondeva: “La libertà non è fatta per noi”. Lei intendeva l'”essere libera” come la libertà degli uccelli, cioè essere senza difesa, essere abbandonati. Nel mondo delle donne musulmane gli uomini sono i protettori e i guardiani, essi rappresentano la vita pubblica, le donne quella privata. Nella società turco-musulmana il bambino è educato a essere persona autonoma, ma come essere sociale e come tale è a servizio di società e famiglia. Soprattutto se si tratta di una femmina. Nella cultura turco-musulmana non ci si preoccupa di plasmare l’individuo, ma la società: ciò che è collettivo ha più valore del singolo. Quest’ultimo è visto solo come parte della famiglia, del clan, della nazione. è per questo motivo che nelle costituzione turca gli obiettivi di gruppo hanno maggiore significato rispetto alla difesa della persona. Per lo stesso motivo le associazioni turche e musulmane sono preoccupate di affermare anzitutto i propri interessi di gruppo. “Hürriyet” in turco significa libertà e la parola deriva dall’arabo “hurriya” che all’origine indicava il contrario della schiavitù e non ciò che nella tradizione occidentale si rifà alla “libertas”, la liberazione del singolo. Per i credenti musulmani la libertà consiste nella decisione cosciente “di obbedire alle prescrizioni dell’islam”. Così viene intesa dalle associazioni islamiche la “libertà religiosa”: è il diritto, nel paese in cui si trovano, di appartenere all’islam.
Velo per le donne e proliferazione di nuove moschee in Europa. è in gioco la libertà religiosa?
Tali questioni sono solo una parte di questa battaglia politico-religiosa condotta dai musulmani, i quali dal canto loro fanno credere che con quelle questioni sia in gioco la libertà religiosa.
Che significato ha per lei la parola “educazione”?
L’autonomia fisica e spirituale, accanto ad una buona educazione, sono i presupposti della libertà. Per conto mio desidero che ogni bambino, già dall’età dell’asilo nido, possa fare esperienza di questa nostra cultura. I bambini che hanno genitori venuti dall’Anatolia non hanno la possibilità di parlare tedesco con la propria madre e da lei nulla possono apprendere di questa società. Nella società turco-musulmana il termine “rispetto” ha una grande importanza (rispetto verso il padre, la religione, la Turchia), ma non significa altro che sottomissione. Del resto, “islam”, in senso letterale, significa “avere rispetto”, accettare i rapporti di forza. Per una ragazza esprimere un’opinione di fronte ad un adulto o di fronte a un uomo è qualcosa di impensabile. Mi è capitato di osservare più volte come in una famiglia, qualora capiti che il padre sia assente, nel momento in cui si deve andare a fare la spesa, è il figlio maschio più grande, anche avesse dieci anni, ad avere con sé il denaro e a pagare, e non la madre, o una sorella più grande: siamo di fronte a una gerarchia che non è fondata sull’autorità naturale.
Ha scritto che l’islam non è integrabile nella società europea. Perché?
L’islam, inteso come visione del mondo e sistema di valori, non è integrabile nelle società europee e dunque non va riconosciuto come ente di diritto pubblico. Non è un problema di buona volontà. Mancano i presupposti istituzionali, strutturali e teologici e ai suoi rappresentanti manca, per usare un’espressione di Jürgen Habermas, «una legittimazione che affondi nella convinzione». L’islam non è integrabile, ma può esserlo il singolo musulmano come cittadino. Questi può conservare la propria fede e la propria identità nella nostra società, perché la tolleranza illuminista europea riconosce pari diritti agli appartenenti ad ogni religione.
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