“Buongiorno, vorrei comprare una macchina”… è la richiesta di Pucci B., elegante signora della Milano bene, allo sportello di una famosa banca. Il cassiere, per nulla sorpreso dalla strana richiesta, la fa accomodare in uno spazio dedicato. Addebito in conto corrente e Pucci fra qualche giorno se ne andrà in giro per le vie del centro con la sua Smart. Da un po’ di tempo infatti l’automobilina della Daimler Chrysler si può comprare anche in banca. Visto l’insuccesso della sua pubblicità e le vendite che stentano a decollare si provano nuovi canali: qualcuno dice che presto la si potrà comprare anche al supermercato, fra un chilo di pasta e due etti di prosciutto, vicino agli scaffali dei giocattoli. Smart. Reduce to the max, ridotta maluccio. Eppure l’auto di Paperopoli ha tutte le carte in regola e un grande talento per aspirare al successo: ha anche superato egregiamente l’Elchtest, a differenza della Classe A sua parente stretta. E ha un motore brillante ovviamenre ridotto. Ma nonostante la tendenza delle citycar, delle microvetture, che stanno sostituendo le ingombranti station wagon e i fuoristrada parcheggiati in doppia fila delle varie Pucci, Titti e Cicci, la Smart stenta ad affermarsi su un mercato che è sempre più una giungla. A questo si somma una campagna pubblicitaria che non è stata in grado di creare un bisogno, puntanto tutto sulle dimensioni ridotte. Del resto l’automobile è anche uno strumento di seduzione, e, sebbene la Smart offra uno spazio che facilita gli incontri ravvicinati, un latin lover stenta a riconoscersi in un auto che promette di ridurre tutto al massimo.
Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994
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Emanuele Boffi