
Sistri, riparte il folle sistema per la tracciabilità elettronica dei rifiuti che non funziona e non piace alle imprese
Ultima chiamata per il Sistri, il sistema elettronico per la tracciabilità dei rifiuti che è divenuto operativo a inizio ottobre ma solo per i rifiuti pericolosi. Come sono, per esempio, pile, olii esausti, farmaci scaduti e prodotti etichettati come “infiammabile” e “tossico”. Per un mese le sanzioni saranno sospese, anche se il Parlamento potrebbe prorogare la sospensione di ulteriori due mesi, al fine di verificarne l’effettiva funzionalità. Il Sistri, infatti, tra proroghe, ritardi e ripetute complicazioni tecniche e burocratiche è dal 2009 che avrebbe dovuto divenire pienamente operativo, ma ancora non c’è riuscito. A spiegare a tempi.it come mai e a descrivere tutte le assurdità cui le imprese che lavorano allo smaltimento dei rifiuti hanno dovuto fare fronte in questi anni è Barbara Gatto dell’Ufficio politiche energetiche del Dipartimento Competitività e Ambiente della Cna nazionale.
Non tutti sanno cos’è il Sistri, può spiegarcelo?
Il Sistri è il sistema che dovrebbe permettere la tracciabilità elettronica dei rifiuti sostituendosi gradualmente a quella attuale basata su documentazione cartacea (registri, formulari e Mud). È la normativa europea che richiede la tracciabilità, senza però specificare che questo debba per forza avvenire in via telematica. In Europa, infatti, solo la Germania ha un sistema di tracciabilità elettronica; mentre tutti gli altri Stati si affidano ancora a documenti cartacei. E il processo funziona bene lo stesso.
Il Sistri, invece, perché finora non ha funzionato?
Il Sistri è stato introdotto nell’ordinamento italiano con un decreto legge del 2009, ma si è rivelato fin da subito ingestibile per la complessità delle procedure di caricamento delle informazioni nel sistema e l’insostenibilità per le aziende degli enormi costi diretti e indiretti che esso comporta.
Quali costi?
I contributi diretti variano dai 120 euro l’anno per il piccolo produttore di rifiuti agli 80, 90, 100 mila euro e anche più dei grandi gestori di rifiuti. Per non parlare dei costi indiretti a carico dell’azienda come quelli per l’aggiornamento dei computer, i corsi di formazione (perché imparare a usare il software del Sistri è davvero difficile) e i costi non quantificabili per tutto il tempo e le risorse spese nelle procedure di compilazione.
In questi anni si sono verificati ulteriori inconvenienti?
Sì, chi trasporta rifiuti, per esempio, è obbligato a installare una scatola nera sui mezzi per tracciare i percorsi. Si è scoperto che quelle scatole nere scaricavano la batteria dei mezzi di trasporto. Gli imprenditori, così, hanno dovuto smontarle. E anche il sistema informatico offerto dalla pubblica amministrazione ha presentato spesso problemi. Ciò significa che, non solo i privati devono pagare di tasca propria il passaggio al Sistri, ma che, oltretutto, devono pagare per una dotazione tecnologica di qualità scadente.
Gli addetti al settore cosa propongono di fare?
Nessuno è contrario a priori all’adozione di un sistema informatico, anzi i più sono persino favorevoli. Purché funzioni, però. E faccia risparmiare tempo e denaro. Quello che la Cna suggerisce di fare è di sfruttare questi primi tre mesi per verificare l’effettivo funzionamento del Sistri e, alla fine, trarre le dovute conclusioni. Se dovesse funzionare, bene. Se no, sarà meglio superarlo. Anche perché modelli alternativi e più efficienti di gestione elettronica dei dati non mancano. Per esempio, si potrebbe prendere spunto da quelli per le comunicazioni ambientali.
Avete avuto già qualche riscontro in questi giorni?
Non molti, perché gli operatori, sapendo che si avvicinava la ripartenza del Sistri hanno preferito smaltire i rifiuti prima di ottobre con il vecchio sistema. Altri, invece, molto probabilmente stanno attendendo qualche giorno prima di utilizzarlo per vedere come si comporta chi ci proverà per primo. Ma sembrerebbe che le difficoltà nell’utilizzo permangano.
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