
Siria. Così i cristiani tornano ad Aleppo

tratto dall’Osservatore Romano – «Ad Aleppo la gente ha voglia di vivere e cerca di ripartire. Le comunità cristiane locali sono presenti e attive per sostenere gli sforzi di chi continua ad amare questa città martire». Dalla Aleppo ufficialmente Isis-free dal 6 luglio, e dove non si combatte più da sei mesi, a parlare è l’arcivescovo di Aleppo dei Greco-Melkiti, monsignor Jean-Clément Jeanbart. Oggi, tra gli abitanti della città siriana si stima che il 70 per cento delle famiglie sia senza tetto e senza rifugio. La città è semidistrutta, da ricostruire non sono solo le case, ma anche strade, scuole, ospedali.
Va garantita l’erogazione di acqua e di energia elettrica, oggi fornita solo per poche ore al giorno. Poi, il lavoro. Aleppo era il cuore economico della Siria poiché forniva il 60 per cento della produzione industriale del paese prima del conflitto. Un tempo ospitava quattro milioni di abitanti, oggi poco meno di un milione e mezzo. Molte fabbriche e botteghe sono state chiuse o andate distrutte e, con esse, tanti posti di lavoro. Il vescovo, in una intervista all’agenzia Sir, ricorda che oggi tra le sfide più grandi per Aleppo vi è non solo la ricostruzione materiale, ma anche e soprattutto quella della persona. «La ricostruzione del corpo, della mente, dello spirito e del senso di appartenenza alla comunità». In questo ambito le comunità cristiane locali sono molto impegnate con diversi progetti e iniziative. Tra quelli portati avanti dalla comunità greco-cattolica vi è il centro di formazione professionale dove si formano giovani maestranze. «I nostri allievi — sottolinea il presule — sono in continuo aumento. Questo ci dona la speranza concreta che i giovani possano trovare presto, già nei prossimi mesi e forse settimane, degli impieghi nell’ambito della ricostruzione».
Stesso discorso per il centro medico che, spiega il vescovo, «offre con regolarità visite mediche gratuite, per dodici specializzazioni, tra cui anche cure dentali, a centinaia di pazienti», poi c’è anche un centro commerciale solidale e le scuole. Ma sono due i progetti più significativi, quelli che cercano di fronteggiare la partenza dei cristiani dalla città. «Costruire per restare» è il primo di questi programmi sociali. «Fino ad oggi — aggiunge monsignor Jeanbart — abbiamo restaurato oltre cinquecento abitazioni colpite dalle bombe e intrapreso la ristrutturazione dei luoghi di culto meno danneggiati, dando lavoro a un centinaio di persone, tra ingegneri e operai. Abbiamo assegnato novantotto prestiti a fondo perduto ad altrettanti padri di famiglia per rilanciare le loro attività economiche».
Il secondo progetto, invece, si chiama «Aleppo ti aspetta» ed è rivolto a quei nuclei familiari che non hanno i mezzi economici sufficienti per rientrare a casa, abitazioni che erano stati costretti ad abbandonare per la guerra. A chi deciderà di rientrare verrà pagato il viaggio di ritorno ad Aleppo, una casa e verrà offerto un aiuto per vivere dignitosamente in attesa di un lavoro. In poche settimane sono oltre venti i nuclei familiari che hanno fatto ritorno e monsignor Jeanbart auspica che «questi siano un segno di speranza per chi verrà dopo». Ad Aleppo fino al 2011, prima della guerra, vivevano centottantacinquemila cristiani, oggi stime delle Chiese locali parlano di poco meno della metà.
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