Leggere Dostoevskij al gabbio. «Senza scopo non si può vivere»
Il prete di San Vittore mi ha regalato un libro: Memorie di una casa morta di Fëdor Dostoevskij. È il racconto che l’autore fa dei suoi quattro anni di carcere ai lavori forzati in Siberia. Condannato a morte, fu graziato davanti al plotone di esecuzione. È la prima volta che supero le 400 pagine di lettura: volevo vedere se la pensavamo allo stesso modo.
Vorrei proporvi tre brani, con l’unica intenzione di farvi intendere che qui dentro la vita procede con le stesse problematiche che vivete anche voi fuori. La vita è spesso dura di suo, e quel che succede qui non è necessariamente più faticoso di quel che avviene fuori.
Così mi succede, quando leggo molte lettere che vorrebbero gentilmente consolarmi per la non facile situazione che vivo, di volervi mettere all’erta. Leggete e capirete.
«Denaro e tabacco salvavano dallo scorbuto e da altre malattie. Il lavoro poi salvava dai delitti: senza il lavoro, i detenuti si sarebbero mangiati a vicenda, come ragni in un barattolo». (pagina 29)
«Senza un qualche scopo e senza l’aspirazione a raggiungerlo nessun uomo può vivere. Quando ha perduto lo scopo e la speranza, l’uomo, dall’angoscia, si trasforma non di rado in un mostro». (pagina 350)
«Io per primo sono pronto ad attestare che, anche in mezzo alla maggiore ignoranza e al maggiore avvilimento, ho trovato fra questi sofferenti i tratti del più fine sviluppo psichico. Nel reclusorio ti accadeva a volte di conoscere una persona da più anni e di pensare che quello fosse un bruto, e di disprezzarlo. E tutto a un tratto veniva casualmente un momento in cui l’anima sua, in uno slancio involontario, si apriva all’esterno e voi ci vedevate dentro una tale ricchezza, un tale cuore e sentimento, una così chiara comprensione della propria e dell’altrui sofferenza che era come se vi si aprissero gli occhi e nel primo momento non credeste nemmeno a ciò che voi stessi avevate veduto e udito. Accade anche l’inverso: l’istruzione va congiunta qualche volta a una tale barbarie, a un tale cinismo, che ne provate schifo e, per quanto siate buono o ben disposto, non trovate nel vostro cuore né scuse né giustificazioni». (pagina 351)
Antonio Simone
Lettere precedenti
40. Il mio grazie commosso a Festa e una richiesta ai 5mila del Meeting
39. I tre miracoli dello “scopino” di San Vittore
38. Anche voi dite: “Ci vorrebbe la pena di morte”
37. Il lavoro, la passeggiata e il mio nuovo soprannome (“zio”)
36. Dio è morto e anche noi non stiamo bene. Ma si risorge
35. Cosa ci sostiene? La coscienza di essere voluti
34. Ho cambiato cella e raggio. E la porta è aperta
33. «Scusa. Sono un pirla. Ti amo»
32. Quel che ho ricevuto in dono e non riesco a trattenere
31. San Francesco riletto da noi carcerati
30. Il segreto (rivoluzionario) del nuovo compagno di cella
29. Quando Repubblica mi chiederà scusa?
28. La preghiera non è superstizione, ma domanda
27. Leggere “L’annuncio a Maria” dietro mura alte 5 metri
26. Sono un corpo sequestrato perché non dico “tutto”
25. Devo mentire su Formigoni per uscire?
24. L’autolesionismo e una domanda: perché fare il bene?
23. Il carcere può esser casa se l’orizzonte è l’infinito
22. Per le vostre preghiere ho vergogna e vi ringrazio
21. Il gioco dei 30, 50, 70, 100 milioni
20. Lo sciopero della fame, i cani e la spending review
19. Sciopero della fame. Appello da San Vittore
18. Che me ne faccio del prete in carcere?
17. In carcere l’Italia gioca in trasferta e comandano gli albanesi
16. Leggo Repubblica solo per capire se posso chiedere i danni
15. La mia speranza (cosa disse don Giussani nel 1981)
14. Ikea festeggia la condanna definitiva. Festa con incendio
13. «Che differenza c’è tra me e voi fuori? Nessuna»
12. «Sono di Cl non perché sono giusto. Ma per seguire una via»
11. «Amico, posso diventare anche io di Comunione e libertà?»
10. Gli scarafaggi, il basilico e l’urlo nella notte
9. Mi dimetto da uomo. Meglio essere un porco
8. Cresima in carcere con trans. Sono contento
7. Repubblica mi vuole intervistare. Ok, ma a due condizioni
6. In quel buio che pare inghiottirmi, io ci sono
5. La rissa e l’evirazione. Storie di ordinaria follia a San Vittore
4. Io, nel pestaggio in carcere con cinghie e punteruoli
3. «Ezio Mauro, se vuoi farmi qualche domanda, sono pronto»
2. Anche da un peccato può nascere un po’ più di umanità
1. Lettera dal carcere di Antonio Simone. Con una domanda a Repubblica
0 commenti
Non ci sono ancora commenti.
I commenti sono aperti solo per gli utenti registrati. Abbonati subito per commentare!