Sierra Leone. «Ebola è quasi sconfitta ma ci sono due ricordi che non mi fanno dormire la notte»
«RIAPRONO LE SCUOLE». Secondo l’ultimo rapporto dell’Oms, su un totale di 11.301 casi dallo scoppio dell’epidemia, quelli degli ultimi 21 giorni sono 235 (135 in Guinea e solo 10 in Liberia). «Grazie all’aiuto internazionale ora abbiamo un numero sufficiente di cliniche», continua il direttore della Caritas. «Prima dell’epidemia avevamo in tutto il paese otto ambulanze, ora 200. Ci vorrà ancora molto tempo perché le cose possano tornare alla normalità, ma il governo ha annunciato che le scuole riapriranno il 31 marzo».
LE DIFFICOLTÀ. Padre Konteh ricorda alcune delle principali difficoltà nella lotta al virus letale: «All’inizio sapevamo poco di questa malattia. Il 60 per cento della popolazione è analfabeta e per sensibilizzare 5,7 milioni di persone abbiamo lanciato programmi radio tutti i giorni e usato i megafoni, avvisando la gente nei mercati e nei villaggi. Non è stato facile convincerla, perché i morti all’inizio venivano seppelliti lontano senza che i parenti assistessero. E loro pensavano che i familiari venissero uccisi per alimentare il traffico di organi».
NON È ANCORA FINITA. Per il direttore della Caritas, è fonte di soddisfazione il fatto che la comunità internazionale abbia riconosciuto «che il lavoro pastorale è stato importante. Abbiamo confortato la gente e influenzato la situazione. Molte persone poi sono traumatizzate o depresse e la Chiesa le ha accompagnate nelle loro difficoltà e sofferenza».
Ora che la Sierra Leone sta guarendo da Ebola, ha bisogno di non essere dimenticata: «Economia e agricoltura sono state gravemente colpite. Abbiamo bisogno di aiuti e temiamo di essere dimenticati di nuovo una volta che le telecamere su questa vicenda verranno spente».
RICORDI SPAVENTOSI. Anche quando il virus sarà debellato, ci sono due episodi che padre Konteh non potrà mai dimenticare: «Due esperienze non mi fanno dormire la notte. Un giorno abbiamo trovato un bambino di circa due anni, era solo in mezzo a quattro cadaveri. Abbiamo informati i dottori ma quando sono arrivati il bambino era già morto. Questo ricordo continua a perseguitarmi, perché penso sempre che avrei potuto intervenire prima». La seconda esperienza riguarda «una delle nostre colleghe che ha perso tutta la sua famiglia: fratelli, zii, nipoti. In tutto 27 persone. Abbiamo cercato di confortarla nel suo dolore e le abbiamo detto che ora noi saremmo stati la sua famiglia».
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