Pochi giorni fa Giuseppe De Rita ha scritto che i cattolici sono «scomparsi» dalla campagna elettorale, «affannati ad accasarsi nella squadra che contava e/o offriva di più». Per lui «l’appartenenza cattolica è diventata un elemento del curriculum individuale, non il riferimento a un’anima collettiva di proposta politica». Tutto questo sarebbe, secondo De Rita, il frutto di «una debolezza culturale profonda» che si traduce in una sorta di neo-statalismo (compreso anche un neocentralismo tecnocratico apparentemente “neutro”).
Da cattolici impegnati in politica non ci interessa ingaggiare una discussione sulla nostra presunta «scomparsa». Piuttosto ci sembra utile spiegare perché siamo impegnati nel Pdl. Abbiamo sempre considerato il lavoro nelle istituzioni come il modo migliore per collaborare alla costruzione del bene comune, portando come contributo la nostra storia, l’educazione ricevuta, le nostre capacità e i valori in cui crediamo. Questo ci ha portati al confronto e all’incontro con altri amici che, pur provenienti da tradizioni diverse, hanno condiviso con noi il cammino.
Proprio perché il nostro obiettivo è testimoniare nei fatti una posizione culturale siamo dal 2008 parlamentari del Pdl, partito che ha sempre rispettato, nei programmi e nell’azione, i valori in cui crediamo: «la difesa e il sostegno alla famiglia, comunità naturale fondata sul matrimonio tra uomo e donna, la promozione della dignità della persona e la tutela della vita, della libertà economica, educativa e religiosa, della proprietà privata, della dignità del lavoro, la solidarietà e la sussidiarietà».
Guardando all’esperienza fatta in questi anni, abbiamo visto che su questi principi forti è possibile costruire un consenso più ampio, che va al di là della tradizionale divisione tra chi è cattolico e chi non lo è. Forza Italia prima, il Pdl poi, nell’intuizione del Presidente Berlusconi, sono nati proprio da questo lavoro di sintesi.
Per questo crediamo che non ci sia bisogno di un «partito dei cattolici»: se l’obiettivo è quello di costruire il bene del Paese tutti possono concorrere. Per promuovere il protagonismo della società e la centralità della persona, occorre lavorare a un progetto politico che abbia chiarezza culturale e possibilità di essere maggioritario.
Il lavoro fatto in questi anni ci conforta. Dall’approvazione della legge per il ritorno in Italia dei talenti italiani all’estero ed alla stabilizzazione del 5×1000 (lavoro fatto in comune con gli amici dell’Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà), allo statuto delle imprese, dall’approvazione dell’Iva per cassa alla difesa della libertà di educazione attraverso la conferma del finanziamento alle scuole paritarie, dalla detrazione del pagamento dell’Imu per i figli a carico, alla battaglia per la esenzione IMU per gli enti non profit, così come tutto il lavoro fatto sul fine vita.
Questo significa difendere la libertà e il protagonismo della società ed è quanto di più lontano dai rigurgiti neo-statalisti evocati da De Rita. Per questo fare da stampella a egemonie culturali e politiche che ingesserebbero il mercato del lavoro, che hanno tentazioni stataliste e monopoliste per il sistema educativo e che opererebbero sul piano sociale indebolendo la famiglia e il non profit, ci sembra sbagliato.
Sappiamo che il lavoro è tutt’altro che finito. Ci sono delle priorità sulle quali intervenire con riforme chiare, non annacquate da compromessi imposti da alleanze pasticciate.
Il sostegno giuridico ed economico della famiglia fondata su matrimonio tra un uomo ed una donna e riconosciuta dalla Costituzione, la riforma della legislazione sulle imprese che rilanci la produttività e l’occupazione soprattutto giovanile, l’investimento in capitale umano, educazione e ricerca, un affronto serio e non demagogico del problema dei costi della politica, da dimezzare abolendo il finanziamento pubblico dei partiti, un nuovo assetto istituzionale che renda meno ingessato e immobile questo Paese e più praticabile una politica di riforme, una giustizia che sia una risorsa per la crescita e la sicurezza di tutti i cittadini e non una mannaia sospesa sulle loro teste. Sono questi gli interventi urgenti di cui necessita la società italiana.
La prima politica è vivere. La difesa della vita in tutti gli stadi della sua esistenza ne è solo la prima conseguenza. Spesso la vita personale, sociale, economica dei singoli e delle imprese sembra una lotta per la sopravvivenza. Deve tornare nel nostro Paese il gusto di costruire, che molte esperienze reali, più diffuse di quanto si creda sia in campo economico che sociale, contribuiscono a tener vivo. Difenderle, creare spazi di libertà e promuoverle è decisivo per il bene comune e per il benessere generale.
Per fare politica occorre stare da una parte. Noi non stiamo né con il neostatalismo, né con un neocentralismo tecnocratico: stiamo con il primato della persona e della società e della loro iniziativa. Siamo per la sussidiarietà. Siamo nel PdL e per il PdL.
Maurizio Lupi, Gioachino Alfano, Dorina Bianchi, Donato Bruno, Elena Centemero, Sabrina De Camillis, Stefano De Lillo, Marcello di Caterina, Renato Farina, Enzo Garofalo, Cosimo Latronico, Beatrice Lorenzin, Alessandro Pagano, Antonio Palmieri, Stefano Saglia, Barbara Saltamartini, Michele Scandroglio,Francesco Paolo Sisto, Gabriele Toccafondi, Paolo Vella, Raffaello Vignali