Settant’anni dopo “1984”, la Neolingua orwelliana è tutta liberal
Ricorre quest’anno il settantesimo anniversario della pubblicazione di 1984, il romanzo più famoso di George Orwell, quello, per intenderci, del Grande Fratello, della Neolingua, del ministero della Verità e di altre simili trovate distopiche che riempiono di suggestioni l’aggettivo oggi parecchio inflazionato di “orwelliano”. Proprio riflettendo sull’uso e sull’abuso di questo termine, la rivista online ultralibertaria di sinistra spiked ha colto l’occasione dell’anniversario di 1984 per lanciare una nuova efficace critica ai luoghi comuni del cosiddetto mainstream.
Lo spunto polemico dell’articolo di Mike Hume è l’ampia eco incassata dal nuovo libro del giornalista del Guardian Dorian Lynskey, dedicato appunto ai 70 anni del capolavoro orwelliano (The Ministry of Truth: A Biography of George Orwell’s 1984, ovvero “Il ministero della Verità. Una biografia di 1984 di George Orwell”). Correttamente, nota il commentatore di spiked, Lynskey scrive che ogni epoca ha reinterpretato il monito del grande autore britannico secondo le proprie paure. Negli anni Cinquanta e Sessanta il 1984 immaginario di Orwell pareva descrivere esattamente le aberrazioni ideologiche del totalitarismo comunista. Negli anni Ottanta, metteva in guardia dalla pervasività della sorveglianza tecnologica. E così via.
IL DISPREZZO PER LE MASSE
Il problema della rilettura di Lynskey, contesta Hume, è l’applicazione della visione orwelliana al presente: in maniera «quasi prevedibile» per un cronista perfettamente inserito nella corrente dominante, Lynskey infatti crede di rivedere il mondo raccontato da Orwell nell’America di Donald Trump e nel suo modo di «esercitare il potere attraverso la distorsione della realtà» (così la firma del Guardian in una intervista alla Bbc). Inevitabile per il columnist di spiked ritrovare nella tesi di Lynskey lo stesso biasimo nonché gli stessi argomenti utilizzati da tanti politici e intellettuali per squalificare (se non proprio per tentare di invalidare) la vittoria del Leave al referendum sulla Brexit.
Gran parte del commento di spiked infatti è dedicato a dimostrare che in realtà è vero esattamente il contrario. Oggi, secondo Hume, all’opposto di quanto sostiene Lynskey, il Grande Fratello di Orwell non si rivede in Trump, nella Brexit o nei cosiddetti populisti presunti spacciatori di fake news: «È l’intellighentsia liberal nel suo pressoché universale disprezzo per le masse a mostrare un tratto particolarmente “orwelliano”: conformismo politico privo di senso critico e intolleranza verso le visioni alternative o eretiche».
I PRINCIPI DELLA NEOLINGUA
Evidentemente i metodi di quello che spiked chiama «liberal establishment» non sono violenti come quelli del regime partorito dalla fantasia di Orwell, ma la tendenza alla censura di ogni pensiero fuori dal coro e di ogni espressione ritenuta “scorretta” è analoga. Scrive Hume:
«Una delle sezioni meno lette ma più importanti di “1984” è l’appendice che delinea “I principi della Neolingua”, cioè come il regime ha riscritto e ridefinito la lingua inglese per piegarla ai propri scopi.
Prendete l’inestimabile parola “libero”. Questa parola, scrive Orwell, “esisteva ancora nella Neolingua, ma poteva essere utilizzata soltanto in frasi come ‘Il cane è libero dai pidocchi’ o ‘Questo campo è libero dall’erbaccia’. Non poteva più essere utilizzata nel suo vecchio significato di ‘politicamente libero’ o ‘intellettualmente libero’, poiché la libertà politica e intellettuale non esisteva più nemmeno come concetto”.
Questa ridefinizione di libero nel senso restrittivo di “libero da” piuttosto che dal liberatore “libero di” è una peculiarità del discorso politico moderno. Qualche anno fa, quando le autorità britanniche si davano da fare per vietare il fumo nei luoghi pubblici, scrissi che il nuovo slogan dei crociati della salute pubblica, “smokefree” [libero dal fumo, ndr], era un classico esempio della Neolingua di Orwell: un termine inventato che trasformava l’idea di libertà in un reale divieto della libertà di fumare. Il divieto di fumare nei luoghi pubblici può essere un bene per la sanità pubblica, osservavo, ma lo stravolgimento del linguaggio utilizzato per giustificarlo si sarebbe dimostrato poco sano per il dibattito pubblico.
Ora vediamo quel problema emergere ingigantito nelle campagne degli studenti militanti e di radicali vari per limitare il diritto altrui di esprimere idee che essi reputano offensive, campagne giustificate dall’urgenza di sicurezza. Anziché pretendere e difendere la libertà di espressione, come fecero le generazioni precedenti di giovani attivisti, questi zeloti chiedono la libertà dall’espressione. La Neolingua è divenuta la lingua dei campus universitari».
LA POLIZIA DEL PENSIERO
Un altro interessante affondo di Hume è il parallelo tra la polizia del pensiero di Orwell (il cui obiettivo è rendere tutto visibile, trasparente, in modo da «cancellare la linea di separazione tra il privato e il privato, e così controllare i pensieri delle persone») e la tendenza dei «presunti progressisti di oggi» a guardare con sospetto la privacy, «quanto meno quella degli altri»:
«”A porte chiuse” è divenuta un’espressione dispregiativa e la loro [dei liberal, ndr] richiesta, spesso accolta dalla polizia ufficiale, è che le persone siano punite per le parole eretiche che utilizzano nelle email private, nei messaggini o nei gruppi social.
La pericolosa tendenza alla sorveglianza delle conversazioni e dei pensieri privati richiama alla mente i teleschermi, la polizia del pensiero e gli psicoreati di “1984”. Un elemento del sistema di controllo del Grande Fratello è che le persone sono incoraggiate a spiarsi a vicenda e a informare [le autorità] su quanto dicono e fanno in privato i colleghi, i vicini, perfino e i parenti. Un’eco di questo si ha nel modo in cui oggi chi fa trapelare informazioni private viene osannato come un eroe».
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