Se tutte le mamme del mondo…

Di Rodolfo Casadei
13 Settembre 2000
Embrioni umani più promettenti dal punto di vista terapeutico delle cellule staminali del sangue placentare? Ma chi l'ha detto? Girolamo Sirchia, fondatore della "Blood Cord Bank" del Policlinico di Milano ed ematologo insigne smentisce la propaganda scientifico-ideologica di cui si è fatto portavoce anche il ministro Veronesi. E annuncia esperimenti per una rivoluzionaria terapia genica basata sulle cellule staminali emopoietiche. Che saranno sempre disponibili in abbondanza se fra le partorienti si generalizza la pratica di donare la placenta.

Professor Sirchia, lei è sicuramente un’autorità in materia: è vero, come sostengono alcuni fra cui Umberto Veronesi, che le cellule embrionali sono più plastiche, più facilmente pilotabili verso diversi tipi di tessuto che non quelle staminali del sangue placentare, in altre parole che sono più sfruttabili a scopi terapeutici?
Molte persone autorevoli lo sostengono e potrebbe anche essere così. Si può immaginare che arretrando verso l’immaturità cellulare, dall’adulto al neonato, dal neonato al feto, dal feto all’embrione, ci si imbatta in cellule che hanno una potenzialità maggiore. Però finché questa intuizione non è suffragata da una dimostrazione sperimentale, non può essere presa per vera. Perché in realtà è possibile che intervengano anche altri fattori che smentiscono questa attesa: non sarebbe la prima volta che succede. Le cellule embrionali sicuramente hanno un potenziale moltiplicativo maggiore di quelle staminali della placenta, ma non è detto che questo sia un vantaggio per chi ha bisogno di farle moltiplicare evitando che si differenzino, come è il caso di chi mira ad applicazioni terapeutiche. Noi abbiamo bisogno di cellule che non siano troppo differenziate, perché altrimenti quando le iniettiamo nei tessuti per ripararli non riescono a far questo, sono già indirizzate per un altro scopo. Tutto questo non è stato mai visto per le cellule embrionali, può darsi benissimo che ci si trovi davanti a questo problema, anzi è molto probabile.

E’ proprio per questo che si parla di clonazione delle cellule embrionali, per mantenerle nel loro stato di scarsa differenziazione.
Sì, ma questo vorrebbe dire individuare fra queste cellule embrionali quelle che interessano. In una piccola morula (gruppo di cellule -ndr) lei deve individuare quella cellula che fa al caso suo, e questo è molto difficile se lei considera che le cellule staminali ancora non sono riconoscibili, noi non riusciamo ancora a dire quale cellula è staminale e quale non lo è. Non abbiamo nessun “marcatore” che ci dice che una cellula è staminale.

Solo nel caso degli embrioni o in tutti i casi?
In tutti i casi. Noi sappiamo che all’interno di certe popolazioni di cellule del sangue placentare ci sono queste cellule staminali Ma non siamo in grado di individuarle, nessuno è in grado di identificarle. I tempi sono assolutamente prematuri per poter fare affermazioni categoriche come quelle che lei prima riportava.

Allora questa difficoltà vale anche per il sangue placentare.
Nel caso del sangue placentare la difficoltà può essere aggirata. Noi non cerchiamo di clonare nulla, semplicemente espandiamo le popolazioni di cellule dove sappiamo che si annidano le cellule staminali, e così otteniamo l’espansione anche di queste ultime.

Un’altra cosa che si dice è che le cellule staminali devono essere “addestrate” a regredire nel loro sviluppo, mentre non ci sarebbe questo problema con le cellule embrionali.
Ma non è vero! Nessuno può fare affermazioni di questo genere: la conoscenza in questo campo è veramente allo stadio preliminare. L’unica cosa che possiamo dire è che si è visto che in alcuni topi ci può essere una regressione della cellula matura, già indirizzata, al livello della staminale. Questo è stato dimostrato nell’animale osservando che alcune cellule emopoietiche assumevano le caratteristiche del tessuto nervoso. Ma ora bisogna vedere se questo può accadere anche in vitro, cosa possibile ma non facilmente ottenibile, e soprattutto nell’uomo, dove tutto questo non è stato ancora dimostrato.

E’ vero che a Baltimora sono stati condotti esperimenti introducendo materiale embrionale umano in cavie, e questo ha prodotto tumori nel 15 per cento dei casi?
Non conosco questo esperimento, ma sicuramente all’interno delle cellule embrionali ci sono anche quelle che possono probabilmente portare con sé degli oncogeni, quindi stimolare dei tumori.

Invece che genere di esperimento su cavie avete condotto voi in collaborazione con lo University College di Londra?
Attraverso la “cell factory” noi moltiplichiamo in vitro le cellule staminali. Ciò allo scopo di iniettare nei malati leucemici adulti una massa di cellule staminali sufficientemente ampia per permettere al midollo osseo di essere adeguatamente ripopolato in misura adeguata. In collaborazione col prof. Thrasher di Londra, che ha una grandissima esperienza di gestione di cavie, abbiamo iniettato nei topi questo prodotto e dimostrato che nell’animale si produceva sangue umano. Adessiamo stiamo tentando di inserire dei geni non pericolosi dentro queste cellule staminali perché esse sono un ottimo vettore di geni, hanno la capacità di trasportare geni nel ricevente, e quindi anche sperabilmente in futuro di correggere dei difetti genici dei riceventi. Ci stiamo muovendo in questa direzione in collaborazione con lo University College di Londra.

Senta, in termini quantitativi la disponibilità di embrioni “in sovrappiù” da operazioni di fecondazione assistita, quelli su cui vorrebbero intervenire gli anglo-americani, è paragonabile, a livello mondiale, alla disponibilità di cellule staminali emopoietiche?
Non esiste un problema di quantità né nell’uno né nell’altro caso, perché gli embrioni congelati sono numerosissimi, ma forse ancora di più sono i campioni di sangue placentare che ogni mamma potrebbe donare al momento del parto. Il problema, a mio parere, è di qualità, nel senso che dobbiamo decidere se vogliamo utilizzare o no certe sorgenti di cellule staminali che per molti sono eticamente inaccettabili. E di questo non possiamo non tenere conto, perché a mio parere è irragionavole causare problemi etici che poi inevitabilmente si ripercuotono sulla ricerca e sui ricercatori.

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