Se sei antirazzista, non prendi il coronavirus

Di Leone Grotti
07 Luglio 2020
Gli epidemiologi si schierano con il movimento Black Lives Matter ma non con la scienza: «Non condanniamo questi raduni come rischiosi per la trasmissione del Covid»
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Gli Stati Uniti hanno scoperto per primi l’antidoto al coronavirus e lo stanno già somministrando a centinaia di migliaia di persone: è l’antirazzismo. La battuta non farebbe ridere – visto che il paese ha già registrato oltre tre milioni di casi e più di 132 mila morti, con una media recente di oltre 20 mila contagi al giorno – se solo non ci fosse un vero dibattito in corso.

SE LA PROTESTA È ANTIRAZZISTA, NON FA MALE

Quando ad aprile e maggio centinaia di americani manifestarono contro il lockdown in Michigan e Ohio, invocando la riapertura delle aziende, gli epidemiologi (e i media) li criticarono duramente, attaccando, insieme a quei gruppi di maschi bianchi senza mascherine, ciò che rappresentavano: «l’America di Trump» che mette a rischio la salute pubblica.

Tutto è cambiato il 25 maggio, dopo l’uccisione di George Floyd. Allora decine di migliaia di americani hanno appoggiato il movimento Black Lives Matter (Blm), scendendo in piazza proprio come «l’America di Trump», senza mascherine e distanziamento sociale, ma gli epidemiologi, come nota il New York Times, non li hanno randellati, bensì «1.300 funzionari della sanità pubblica hanno firmato un lettera sostenendo la protesta. E molti hanno anche partecipato alle manifestazioni». Da qui la domanda della bibbia progressista americana: «Gli avvertimenti che riguardano la salute pubblica dipendono dal consenso sociale che hanno i diversi raduni di massa?». La risposta, purtroppo, è «sì».

«FACCIO FATICA A SPIEGARE PERCHÉ È GIUSTO»

Catherine Troisi, epidemiologa presso l’Università del Texas, che studia il Covid 19 e ha partecipato alle proteste di Blm, sa che si tratta di un’enorme contraddizione: «Certo che ho condannato le proteste contro il lockdown ed è vero che adesso non condanno le proteste attuali, anzi, vi ho partecipato. Faccio molta fatica a spiegare perché tutto ciò è giusto», ha dichiarato al Nyt.

La stessa difficoltà la provano tanti scienziati. Altri, come Ashish Jha, decano della scuola di salute pubblica della Brown University, si sentono impotenti: «Se sono preoccupato dalla possibilità che le proteste di massa possano portare a un aumento dei contagi? Certo. Ma si è rotta una diga e non c’è modo di fermarle».

«LE PROTESTE ANTIRAZZISTE FANNO BENE»

Altri ancora, come i 1.300 firmatari della lettera, arrivano a conclusioni difficilmente catalogabili come “scienza”:

mentre chi ha protestato contro il lockdown «è legato al nazionalismo bianco e non rispetta le vite dei neri», chi si oppone al razzismo «deve essere supportato. In qualità di rappresentanti della salute pubblica, non condanniamo questi raduni come rischiosi per la trasmissione del Covid 19. Noi li appoggiamo come vitali alla salute pubblica nazionale».

«IL RAZZISMO UCCIDE DA PIÙ TEMPO DEL COVID»

Insomma, se sei conto il razzismo, poiché militi dalla parte giusta della storia, non trasmetti il contagio. Non solo l’arruolamento della scienza nella battaglia contro il razzismo non rende un buon servizio né alla scienza né alla causa stessa, ma rischia anche di ritorcersi contro le persone di colore, visto che molti studi hanno dimostrato come neri e ispanici, vivendo in quartieri più popolosi, si siano ammalati quattro volte tanto rispetto ai bianchi. E ancora non erano cominciate le proteste.

Ma simili argomenti, per quanto possano apparire di buon senso, vengono rifiutati come futili da personaggi come Mary Travis Bassett, già commissaria alla salute di New York. «Il razzismo uccide persone da molto più tempo del Covid 19». Che sconfiggere il razzismo possa essere più importante che combattere l’epidemia è un argomento più che legittimo. Che faccia bene alla salute degli americani e non peggiori la diffusione del contagio è semplicemente ridicolo.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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