Se scompare l’Homo Diplomaticus. L’era postclausewitziana
Peggio della guerra, vi è solo, come ha recentemente sostenuto Andrea Riccardi in occasione dell’incontro per la pace tenutosi a Parigi, la sua riabilitazione. Viviamo in un’epoca storica caratterizzata da un’enorme contraddizione: da un lato la soglia etica su cui si regola la convivenza umana, sia nelle nostre società che nel più ampio contesto internazionale, non è mai stata così alta, dall’altro l’escalation nell’uso della forza è tornata a essere come in passato incondizionata, all’insegna del victory, whatever it takes.
Apparentemente le guerre non hanno sparso sangue invano, se è vero che molti principi di diritto internazionale, un tempo solamente proclamati, oggi vengono presi più sul serio. La globalizzazione ha accentuato questa uniformazione etico-normativa di carattere positivista, stimolando un senso di comunità globale, di cui almeno in una certa misura i governi devono tener conto. Esagerando, Simon Anholt ha definito l’opinione pubblica una «superpotenza»; certo essa, più che mai orientabile, è in grado di imporre e condizionare politiche. Anche il sistema onusiano, sempre più aperto agli influssi degli attori non statuali, ha cavalcato il globalismo amplificando le voci della società civile. Tuttavia, il piatto della bilancia si piega dalla parte del male. Stiamo perdendo, per ragioni anagrafiche, i testimoni dell’era dell’orrore, senza i quali anche coltivare la memoria risulterà più difficile. Inoltre non è stata alterata la natura fondamentalmente anarchica del contesto internazionale.
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