Se non possiamo bloccare i violenti, il governo dica loro di non scappare

Di Leone Grotti
12 Giugno 2020
«Noi non siamo Derek Chauvin». Dagli Stati Uniti alla Francia i poliziotti protestano contro chi li criminalizza e vuole impedire loro di lavorare

«Leggiamo sui giornali che nelle comunità nere le madri sono preoccupate che i loro figli, tornando a casa da scuola, vengano uccisi dai poliziotti. Ma in che mondo viviamo? Queste cose non accadono. Non accadono. Smettetela di trattarci come animali, è disgustoso». L’amaro sfogo in conferenza stampa di Michael O’Meara, a capo del sindacato dei poliziotti di New York, ha fatto il giro del mondo. La sua appassionata difesa della professione è la diretta conseguenza di giorni di manifestazioni negli Stati Uniti al grido di «disarmiamo la polizia, tagliamole i fondi e smantelliamo i dipartimenti».

«Io non sono Derek Chauvin»

O’Meara ha convocato la stampa per ricordare che ogni anno «la polizia ha 375 milioni di interazioni con il pubblico e le reazioni sono per la stragrande maggioranza positive. Ma sui giornali non si parla di queste cose. Io non sono Derek Chauvin», ha aggiunto citando il nome del poliziotto che il 25 maggio ha ucciso Floyd a Minneapolis. E poi indicando i colleghi: «Neanche loro sono Derek Chauvin. Lui ha ucciso qualcuno, noi no. La stampa, i parlamentari, tutti ci gettano fango addosso. E io vi dico: smettetela. Trattateci con rispetto. Nessuno parla dei poliziotti uccisi in America nell’ultima settimana e ce ne sono stati tanti. Noi non giustifichiamo Minneapolis, quello che ha fatto [Chauvin] è disgustoso. Ma sapete cosa vi dico? Noi non ci comportiamo così e io sono fiero di essere un poliziotto e lo sarò fino al giorno della pensione. E questo è tutto».

Basta presa al collo e placcaggio

Lo stesso sentimento espresso da O’Meara è condiviso anche dalle forze dell’ordine francesi. Sull’onda dell’uccisione di Floyd, infatti, il presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron ha dato mandato l’8 giugno al ministro dell’Interno di annunciare alcune misure per migliorare la deontologia dei poliziotti: in particolare, verranno «sistematicamente» sospesi tutti gli agenti sospettati di aver compiuto atti o di aver espresso proponimenti razzisti. Inoltre ai gendarmi è stato chiesto di non utilizzare più né la presa al collo né il placcaggio ventrale per fermare i malviventi. Tali tecniche non saranno più insegnate ai cadetti.

Al di sotto della legge

«Da lunedì non si parla d’altro in servizio», dichiara al Le Monde Sofiane, che presta servizio a Seine-Saint Denis. «Siamo tutti disgustati, non ci sono altre parole», rincara la dose Mathilde, che è impiegata in un commissariato di Parigi. «Siamo abituati a essere bistrattati dai governi, ma questo è il punto di non ritorno».

Il motivo di tanta «collera» è presto spiegato: «Un sospetto non è un caso accertato», continua Mathilde. «Ci dicono che non dobbiamo comportarci come se fossimo al di sopra della legge, ma ci trattano come se fossimo al di sotto. È dura essere accusati di razzismo quando la stragrande maggioranza degli ufficiali fa il suo lavoro correttamente».

Li lasceremo scappare

Per quanto riguarda il divieto di utilizzare la presa al collo, reagisce
Grégory Joron, segretario generale del sindacato Sgp Police-Fo: «Quando si utilizza la presa? Quando le persone non si lasciano fermare. Sarebbe davvero magnifico, quindi, se il ministro domandasse a tutti di lasciarsi fermare, così che noi possiamo evitare il placcaggio ventrale, l’ammanettamento e la presa al collo. Senza mezzi di costrizione fisica, è davvero difficile lavorare». Secondo il delegato generale di Alliance Police, Frédéric Lagache, inoltre, la presa al collo «è l’unica che ti permette di immobilizzare un individuo di peso superiore al tuo. È una tecnica che protegge anche l’individuo intercettato».

La ricetta alternativa, come dichiarato da molti sindacati in un manifesto, è semplice: «Non ci prenderemo più rischi con individui pericolosi che feriscono 18 poliziotti al giorno. Chi non si lascia fermare, sarà fatto scappare, non avendo altri mezzi per fermarlo. Visto che la presunzione di innocenza diventa presunzione di colpa, non fermeremo più individui alcolizzati o drogati. Siccome controllare l’identità di alcune persone equivale a discriminarle, non faremo più controlli».

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