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Se il mondo fosse in mano alle femministe comuniste

Recensione de "Le assetate" di Bernard Quiriny che immagina un Belgio dove a comandare sono soltanto le donne. Un mondo dove possono nascere solo femmine e i maschi sono evirati per “sicurezza”.

Daniele Ciacci
14/02/2012 - 12:27
Cultura
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Sulla scia de La fattoria degli animali di George Orwell, Bernard Quiriny pone le basi per uno scritto che farà scalpore. Sì, perché il suo Le Assetate (Transeuropa, pp. 311, 15 euro) si muove proprio come il breve romanzo del genio inglese: parodiando i grandi regimi autoritari, ne trascrive una fiaba che lascia intravvedere gli aspetti più taciuti e più inquietanti. La grandezza di Quiriny, però, sta nel fatto che le esasperazioni ideologiche del regime di cui parla sono narrate in punta di penna, con un umorismo sottile accanto a scene grottesche. Quiriny, al modo di altri grandi autori di tradizione medievale, è comico: unisce bene e male, mescola il bianco al nero, e costruisce una storia che, pur essendo d’invenzione, non manca di convincere.

Ci troviamo nei nostri giorni. Un gruppo di intellettuali francesi, di ogni veste politica – benché tendenti al progressismo – riescono, dopo anni di tentativi, ad organizzare un tour in Belgio. I Paesi Bassi, nel 1970, si sono staccati dal resto dell’Europa. Una rivoluzione della “Pastora” Ingrid Vermaarsch ha chiuso le frontiere e creato uno Stato fascista dove a comandare sono soltanto le donne. Contro il maschio dominante, il sesso debole ha preso il sopravvento e, mediante una politica di selezione artificiale, dentro la frontiera nascono solo donne. I maschi che sono – per errore – partoriti vengono trattenuti in moderni “lager” dove, appena dopo l’adolescenza, sono evirati per “sicurezza”.

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Al viaggio dei sei fa da intelligente contraltare il diario di una belga, Astrid, che vive in prima persona l’adorazione per Judith, la nuova Pastora, e descrive con ovvietà scene che hanno dell’incredibile. Come, ad esempio, la giustificazione ideologica della condizione maschile, nonostante Astrid abbia un figlio cresciuto in segreto per evitarne la morte. In una vertiginosa quanto graduale scalata al successo, per capriccio di Judith diventa un importante membro del governo. Per poi, sempre a causa dei vizi di chi ha potere, scivolare verso una tragica fine.

Trattando con leggerezza temi oscuri Bernard Quiriny, docente di filosofia del diritto presso l’Université de Bourgogne, mostra a cosa comporta l’assoluta accondiscendenza a certe ideologie – femminista, innanzitutto, ma non mancano certe qualità che ricordano il comunismo –. Inoltre, grazie al punto di vista interno-esterno reso dall’alternanza delle due storie, più che gli elementi discordanti risaltano all’occhio certe visioni comuni. Come a dire: l’ideologia avvinghia anche gli intellettuali d’élite, i giornalisti stranieri che più dovrebbero essere obiettivi. La realtà è difficile da districare. Solo uno dei sei giornalisti, al ritorno in patria, descriverà senza orpelli ciò che ha visto. E la pena sarà delle più pesanti.

Tags: comunismofascismofemminismo
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