Scuola privata. Dello Stato però
In attesa del dibattito parlamentare di martedì 20 luglio sulla parità scolastica (quando scriviamo non sappiamo ancora gli esiti), dopo infinite discussioni tra le forze di governo, è stato raggiunto un accordo definitivo che ha portato alla stesura di un testo da contrapporre al disegno di legge del Polo. Poche le differenze con l’accordo precedente. La proposta parla di un sistema nazionale di istruzione del quale farebbero parte anche le scuole non statali che pertanto devono soddisfare anche a dei doveri, primo fra tutti quello di avvalersi solo dell’opera di docenti abilitati. Resta la scelta di destinare borse di studio e sgravi fiscali in base al reddito e alle famiglie disagiate, ma solo “prioritariamente”. Se le Regioni (che dovranno erogare i finanziamenti) avessero più fondi potrebbero, infatti, destinarli anche ad altre fasce di reddito. ppi, Udeur e Rinnovamento chiedono che le somme non siano concesse solo in nome del “diritto allo studio”, ma in una più ampia spesa per l’istruzione che possa comprender anche le rette. In ogni caso le somme concesse dovranno essere tutte uguali e non avranno nessun rapporto di proporzionalità con l’investimento delle famiglie. Il leader del Cdu, Rocco Buttiglione parla di “violazione dei patti di governo” e minaccia di uscire dall’esecutivo. Da sottolineare, però, che al Senato Buttiglione non dispone di nessun parlamentare.
Per comprendere che un qualche compromesso sarebbe stato raggiunto bastava seguire i commenti rilasciati nei giorni precedenti l‘accordo e ribaditi in quelli successivi: “Intesa è vicinissima” (Luigi Berlinguer); “Siamo a un traguardo storico” (Roberto Napoli, Udeur). Altra cosa però è battersi per la libertà di educazione che da questo accordo esce ancora più penalizzata perché, come già sottolineato (vedi Tempi n° 27) per meno di un piatto di lenticchie la scuola libera italiana si dovrà sobbarcare oneri e doveri pesantissimi e senza che sia stato minimamente scalfito il monopolio di stato padrone e accentratore. Un’ultima riprova ci giunge dalla sentenza del Tar di Brescia che ritiene illegittime le delibere dell’anno scorso del consiglio comunale di Bergamo che accordava un finanziamento e stipulava una convenzione con una associazione di genitori costituitasi per riaprire la scuola elementare statale della frazione di Masano chiusa per motivi di “razionalizzazione”. La motivazione della sentenza recita che, sì, i genitori possono mandare i figli a quella scuola, ma devono pagare una retta come se fosse una scuola privata. Chiaro? I cittadini-sudditi non si permettano di toccare le proprietà dello Stato-principe. E se lo fanno siano duramente puniti (naturalmente, come insegnano i giudici, nel portafogli).
La sanità impopolare della Bindi Lunedì 19 luglio don Luigi Verzé, fondatore della prestigiosa struttura sanitaria lombarda, ha attaccato duramente il ministro della Sanità Rosy Bindi in merito alla vicenda dell’Umberto I e del progetto che avrebbe dovuto portare, secondo l‘accordo stipulato con l’allora ministro dell’università Berlinguer, all’apertura di una sede romana del San Raffaele per diventare un secondo polo universitario e alleggerire, appunto, il Policlinico di Roma: “Il sovietismo statalista del ministro Bindi – ha dichiarato Verzé – ha pervicacemente impedito il progetto esponendo il San Raffaele di Roma quasi alla chiusura e l’Umberto I al decadimento vergognoso, con le conseguenze di cui tutto il mondo arrossisce a eccezion della Bindi. La politica quando è arroganza invece che servizio distrugge anche il minimo di pudore che basterebbe per dimettersi”. Il giorno dopo, in un’intervista al Giornale, don Verzé ha raccontato come la Bindi gli avesse intimato di “andarsene da Roma” e avesse ostacolato tutte le soluzioni prospettate per avviare la nuova struttura. Il ministro Bindi ha risposto che “don Verzé dà dell’arrogante a chi non mostra complicità e cedimenti nei confronti di una disinvolta utilizzazione del potere, in nome del principio poco evangelico del fine che giustifica i mezzi” e ha annunciato querele.
Dopo aver per anni, lei sì, utilizzato ogni mezzo per ostacolare la riforma della Regione Lombardia (non ultimi i decreti legge approvati di recente) il solo timore che qualche scheggia di sanità lombarda possa intaccare qualche altro possedimento del suo sgangherato regno, fa dar fuori di matto alla ministra impopolare. La quale, mentre gli ospedali cadono a pezzi e i neonati si infettano gravemente, trova il tempo di ostacolare una delle poche strutture all’avanguardia nel paese e il progetto di aprirne un’altra nella capitale. Naturalmente, i cittadini romani ringraziano la Bindi per la sua opera in favore di una sanità popolare.
Il prefetto Cofferati In una lunga intervista pubblicata dal Corriere della Sera mercoledì 14 luglio, il segretario della Cgil Sergio Cofferati invitava a emettere un decreto legge per regolare gli scioperi che in queste settimane rischiano di paralizzare la rete dei trasporti ferroviari e aerei. Molte le polemiche da parte delle altre forze sindacali e politiche.
Premesso che sugli scioperi nel settore dei trasporti che ogni anno colpiscono i cittadini a ridosso delle vacanze ci sarebbe molto da discutere, l’iniziativa del sindacalista di lotta e governo è di quelle da sbalordire. Lui, il Cinese, che solo qualche anno fa (cioè durante il governo Berlusconi) minacciava gli esecutivi e trascinava in piazza milioni di persone ora, dopo cinque anni (cioè da quando governano le sinistre) di assoluta astinenza dalla piazza e nei quali non ha organizzato neanche il becco di uno scioperino, una manifestazioncina, una marcetta un po’ così, arriva al punto di invocare, lui sindacalista, l’intervento deciso del governo contro i lavoratori che disturbano. Non si capisce perché un decreto legge poi, visto che esiste già una legge in proposito votata dal Parlamento. No, lui vuole il decreto legge, cioè un provvedimento urgente e straordinario redatto dal governo, con immediata entrata in vigore, senza l’intervento del Parlamento. Un atto di imperio contro i lavoratori. Da nemico giurato del governo-padrone in breve si è trasformato in consulente per l’ordine pubblico del governo del popolo. Impagabile Cofferati.
Se fumare fa male (al portafogli) Venerdì 16 luglio il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge che prevede sanzioni più severe contro i trafficanti e i consumatori di sigarette di contrabbando. Il provvedimento prevede la multa di un milione di lire per chi venga trovato in possesso di sigarette di contrabbando (anche in “quantitativi minimi”, dice il testo). Nel caso di un quantitativo superiore ai cinque pacchetti si incorrerà in un’ulteriore sanzione di 10mila lire per ogni grammo di tabacco (l’equivalente di una sigaretta), nel caso di una quantità superiore ai dieci chili, la pena prevista è la reclusione da uno a quattro anni.
Non riuscendo a sconfiggere l’industria del contrabbando che nel Sud del paese dà da vivere a migliaia di persone (e per questo nei decenni è stata tollerata come una sorta di calmiere sociale che dava parziale soluzione al problema della disoccupazione) lo stato ancora una volta decide di punire esemplarmente i cittadini che consumano il prodotto. Non riusciamo ad immaginare cosa potrebbe succedere nei vicoli di Napoli, città nella quale il contrabbando è ben più di un’industria ben avviata per arrivare ad essere un fenomeno storico-culturale al limite del letterario, qualora qualche zelante poliziotto decidesse di appioppare milionate di multa agli acquirenti di bionde. Ma senza arrivare a Napoli, cosa dire di uno stato nel quale se si è fermati con della droga in modica quantità si può farla franca appellandosi all’uso personale e se, invece, si viene pizzicati con una sigaretta di contrabbando si è immediatamente puniti come contrabbandieri e senza possibilità di appello?
Giustizia sforna ingiustizie Settimana scorsa, a Milano si è concluso un caso giudiziario minore che vedeva una donna di settant’anni accusata di non aver impedito al figlio di violentare la nipotina di 4 anni: la piccola aveva raccontato che durante una vacanza in Sardegna il padre aveva abusato di lei e che la nonna, pur vedendo e sentendo tutto, non era intervenuta. A condurre le indagini era stato il pm Pietro Forno con il suo pool specializzato in casi di pedofilia e aveva chiesto il rinvio a giudizio, ma la donna è stata scagionata. Il Gip, Guido Salvini, nella sentenza ha attaccato duramente l’operato di polizia e pm rilevando numerose irregolarità nelle indagini (per esempio, la bambina era stata interrogata solo da poliziotti senza la presenza di uno psicologo che sapesse trattare con i bambini), oltre a “domande curiose” rivolte alla donna durante l’interrogatorio quali se le figlie, ormai adulte, da piccole, cioè decenni or sono, si “toccassero il pube”.
Sarebbe solo un ennesimo caso di ordinaria ingiustizia se non coinvolgesse bambini, come in quasi tutti i casi seguiti dal dottor Forno, e non travolgesse famiglie. Perché, se un errore giudiziario è sempre un dramma, quando tocca casi come quelli di pedofilia si risolve per lo più in una sciagura che trascina con sé traumi difficilmente rimarginabili. Un ulteriore caso che conferma l’urgenza di una riforma della giustizia e del superamento della infausta pratica dei “pool” specializzati nella repressione di un reato: anti-mafia, anti-corruzione, anti-pedofilia, anti-tangenti, anti-mostro… finché barricati nel proprio fortino eletto a baluardo contro il male assoluto i mostri si finisce per crearli davvero…