Scuola media, Gavosto: «Servono nuovi insegnanti e più specializzati»

Di Carlo Candiani
02 Dicembre 2011
Intervista ad Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Agnelli che ha realizzato il rapporto sulla scuola in Italia, che denuncia il funzionamento problematico delle medie: «C'è bisogno di assumere insegnanti specialisti, nei prossimi anni ci sarà un grande turnover. Io appoggio l'arruolamento diretto da parte delle scuole»

La scuola media italiana è l’anello debole del percorso scolastico obbligatorio: è questa la desolante fotografia che esce dal Rapporto sulla scuola in Italia 2011, a cura della Fondazione Giovanni Agnelli e pubblicato da Laterza. “Bocciato” il corpo docenti, troppo anziano e demotivato, e la situazione di “emergenza educativa” per gli studenti che la frequentano. «Devo premettere che non voglio generalizzare, quello che però emerge da questa indagine è che molti dei professori lamentano di non avere un’adeguata formazione per insegnare ai ragazzi tra gli 11 e i 14 anni, che pongono oggi problemi particolari» dice a Radio Tempi il direttore della Fondazione Giovanni Agnelli e curatore del Rapporto, Andrea Gavosto. «È necessario rinnovare in tempi brevi il corpo docente della scuola media».

Se le scuole potessero arruolare direttamente i professori, non avrebbero meno problemi di questo tipo?
«Senz’altro. Si potrebbero anche fare dei concorsi riservati. Il punto fondamentale che descriviamo nel Rapporto è che, per la scuola media del futuro, bisogna pensare ad assumere insegnanti che siano specialisti per quella particolare fascia d’età dei ragazzi: insomma, servono insegnanti delle medie e non generici docenti. In quest’ottica la chiamata diretta, con procedure naturalmente trasparenti, può essere una soluzione adeguata, previo confronto con le parti sociali».

Nel rapporto si parla “battaglia dell’equità”, una battaglia persa per la scuola media. Di che cosa si tratta?
«È uno dei risultati più importanti e problematici che emergono da questa ricerca: la scuola media nasce negli anni ’60 con un chiaro obiettivo di equità: portare la popolazione italiana a un certo grado di conoscenza e competenza. Quello che abbiamo scoperto è che a differenza della scuola elementare, che fa opera di contenimento dei divari sociali, nella scuola media cominciano a esplodere differenze non legate al merito e all’impegno, ma legate al retroterra culturale della famiglia di provenienza. E questa situazione viola i principi costitutivi della scuola».

È per questo che il Rapporto propone come soluzione l’introduzione del tempo pieno? Come si può raggiungere quest’obiettivi in un periodo di tagli e con gli stessi professori che ci sono ora?
«Non è possibile, infatti. Perché la scuola del pomeriggio possa funzionare bisogna ripensare l’intera offerta formativa della medie e modificare, come dicevamo prima, i metodi di assunzione. Il ricambio dei docenti è indispensabile, anche perché tanti ormai hanno raggiunto l’età pensionabile».

Non si potrebbe in questo caso valorizzare esperienze “sussidiarie” come quella di Portofranco, dove studenti volontari accolgono e aiutano a studiare i ragazzi che fanno più fatica?
«Questo contributo può essere molto importante, anche se, ripeto, chi lavora con i ragazzi di quell’età deve riuscire a mettersi in sintonia con loro e possedere gli strumenti culturali e informatici adeguati. Penso che sia importante valorizzare l’autonomia della scuola, che deve poter decidere che tipo di insegnanti assumere, quali associazioni coinvolgere sulla base della proposta educativa che ogni scuola deve dare ai ragazzi».

Il fatto che liceo e formazione professionale siano ancora ritenuti rispettivamente di serie A e di serie B, non danneggia anche la scuola media?
«Noto che qualche cambiamento è in corso per quanto riguarda la formazione professionale. La tesi della nostra ricerca è che bisogna migliorare a prescindere la realtà della scuola professionale e dell’orientamento proposto dalle medie, in modo che le scelte dei ragazzi siano più guidate».

Come pensate di raggiungere gli obiettivi enunciati nel Rapporto?
«Per quanto riguarda la scuola media, il quadro deve essere definito dal ministero. Deve, intanto, essere valorizzata l’autonomia delle scuole a tutti i livelli: ci fossero scuole medie disposte a sperimentare le soluzioni che noi proponiamo, saremmo interessati a collaborare».

Un’ipotesi di lavoro non potrebbe essere una sana concorrenza tra scuole statali e paritarie, all’interno del sistema integrato nazionale affermato nella riforma Berlinguer?
«Io nella concorrenza tra le scuole credo molto poco. Affermiamo, come Fondazione, la possibilità di dare alle famiglie la libertà di scegliere, non avrei nessun problema nel riconoscere una deduzione fiscale delle rette pagate dalle famiglie che scelgono la paritarie. Non bisogna, però, dare spazio ai diplomifici, che danneggiano anche le paritarie serie».

Pensa che l’attuale ministro Profumo potrà aiutare ad attuare alcune delle misure che proponete nel rapporto? Come crede abbia lavorato l’ex ministro Gelmini?
«Il professor Profumo ha fatto un lavoro egregio come rettore al Politecnico di Torino, anche i suoi due sottosegretari, Ugolini e Rossi Doria, sono di grande qualità. Per quanto riguarda il lavoro svolto dal ministro Gelmini, è stato segnato da cose importanti, come per esempio la riforma dell’istruzione tecnica e professionale o l’introduzione di strumenti di valutazione del sistema scolastico, che mi auguro vengano portati avanti anche dal nuovo ministro. Mi ha deluso la scelta dei tagli, anche se va detto che qui un ruolo decisivo è stato svolto dal ministro Tremonti, anche se forse erano inevitabili».

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