Gli accadimenti e le situazioni attualmente in evidenza portano ad alcune domande da parte di molte persone – educatori, animatori, docenti, genitori – sostenute da una forte preoccupazione educativa. Cercano di riflettere, di capire, di approfondire come sia possibile – e se sia possibile – far sorgere una nuova coscienza, una diversa attenzione, una più acuta sensibilità e quindi una più coerente azione di impegno e di sostegno all’interno e all’esterno dell’istituzione “scuola”.
Ne consegue che ogni persona è chiamata ad essere protagonista principale della propria storia della propria formazione, in un processo in cui la propria “responsabilità” aumenta e diminuisce la “responsabilità” supplente delle altre persone nei suoi riguardi.
«L’uomo, sia esso il singolo o lo stesso Stato – perché anche lo Stato è soggetto di diritti e doveri – non può mai arrogarsi il compito di arbitrio o di padrone degli altrui diritti, ma li deve riconoscere, proteggere e promuovere, operando perché ogni persona ne possa effettivamente godere» … «Da qui il rifiuto dell’uomo come “padrone e “despota” e l’affermazione dell’uomo e dello Stato come “custode” e “promotore”». Card. G. Colombo, in “Discorsi alla città”, ed. Vita e Pensiero, Milano
Il compito primario di questa responsabilità spetta alla famiglia, la quale tuttavia viene lasciata sola, dimenticata, mentre la famiglia necessita di un sostegno sussidiario che ne faccia crescere la capacità educativa e formativa, per diventare artefice di quel umanesimo familiare di cui la società italiana ha urgente bisogno e del quale sembra non rendersene conto. Essere al servizio di un recupero e di uno sviluppo della responsabilità educativa e formativa di quanti si interrogano in ambito familiare – in primis – e scolastico è impegno necessario e estremamente urgente. A sostenerne tale compito è chiamata anche la scuola, alla quale è chiesta «di esprimersi immune da ogni coercizione fisica e morale, sia che provenga da singoli individui, da gruppi sociali, dall’autorità dello Stato, sia che emani da una azione de-formatrice, orchestrata dagli strumenti di comunicazione sociale» (ibid.). Da qui una “coscienza libera”!
All’origine ci sono i doveri e i diritti dei cittadini in ordine all’istruzione e all’educazione. In quest’ottica, l’educazione scolastica non può assolutamente prescindere dall’educazione familiare. Ecco perché è dalla famiglia che occorre partire. Occorre riconoscere a tutte le famiglie il diritto e il dovere di esigere una coerenza di fondo tra i valori culturali a cui ciascuna crede, e quelli trasmessi in simbiosi dalla scuola.
Il tutto motivato dalla grande preoccupazione educativa e dalla constatazione che solo una autentica libertà di insegnamento può garantire una altrettanto autentica e concreta libertà di apprendimento da parte degli alunni e di educazione da pare dei genitori e delle famiglie.
Ne consegue una ulteriore domanda: qual’è il contesto globale in cui un’opera educativa si colloca oggi? Ci aiuta il giornalista francese, redattore di Le Monde, Michel Bosquet:
«Occorre immaginare scuole radicalmente differenti da quelle cui siamo abituati… La scuola di cui abbiamo bisogno non può essere una burocrazia fondata sul mantenimento della disciplina e dell’arrangiare gli orari; perché la scuola sia una comunità educativa occorre innanzi tutto che sia una comunità. Ma perché ci sia una comunità educativa occorre innanzi tutto che ci sia uno scopo comune, un compito comune a tutti i suoi membri. Ecco dove sorgono alcune domande imbarazzanti: su quale scopo comune può fondarsi una comunità educativa? Quello di insegnare, educare, imparare? Ma imparare a fare che? Non si sceglie di fare qualcosa per imparare; al contrario uno accetta le discipline inerenti all’imparare perché desidera fare una certa cosa. Di quali lavori la scuola può dare ai giovani (e ai meno giovani) la voglia e i mezzi in una società in cui si estende sempre più in tutti i campi la parcellazione e la divisione oppressiva delle mansioni? …. Non può esserci sistema educativo quando l’autonomia degli individui non si compie né nel lavoro, né nel tempo libero, quando l’educazione non sfocia i nessuna attività socialmente riconosciuta. Quando tutto insomma diseduca. Perché l’educazione diventi possibile, occorrerebbe che la società tutta intera diventasse educativa e che scomparisse la separazione tra imparare e produrre, studio e lavoro, lavoro e tempo libero, favorendo allo stesso modo in tutte le attività sociale la compiutezza degli uomini» (“Critica al capitalismo di ogni giorno”, Ed. Jaca Book).
Si tratta di un commento “laico”, onesto e intelligente, che ha saputo individuare ciò che caratterizza la possibilità di apporto di una comunità scolastica in un contesto sociale pluralistico. Sono in quest’ottica la scuola diviene strumento per aiutare le persone ad affrancare la propria autonomia in un processo formativo teso alla promozione della propria personalità, e quindi della propria identità culturale ed esistenziale.
Queste osservazioni portano ad una considerazione doverosa: perché si possa parlare di autonomia, innanzi tutto deve esistere la libertà effettiva di organizzare l’insegnamento. E perché tale libertà sia davvero effettiva, è necessario, non soltanto che vengano rimossi tutti gli ostacoli di carattere normativo che ne impediscono, o quantomeno ne limitano, il concreto esercizio, ma anche che le condizioni finanziarie siano uguali per tutti. Solo quando si sarà acquisita tale libertà finanziaria, si potrà affrontare compiutamente gli aspetti dell’autonomia pedagogica, culturale, didattica, organizzativa. Per questa ragione l’autonomia non può che essere affrontata insieme all’altro aspetto importantissimo: la “pari dignità” coniugata con la “libertà di scelta”.
«Si tratta di una battaglia per il bene comune, a favore di tutte le famiglie italiane. Perché possano liberamente scegliere in coscienza il percorso educativo più idoneo per i loro figli. È la battaglia di uno Stato laico che non pretende il monopolio dell’educazione. Il finanziamento non è il fine ma il mezzo per attuare il diritto-dovere costituzionale dei genitori di istruire e educare i figli. Il riconoscimento della libertà di educazione è la “spia” che segnala se uno Stato è autenticamente liberale e democratico» (Stefano Versari, già Presidente AGeSC)
Il problema della scelta è ineliminabile: si tratta di una decisione che risponde ed è collegata ad una immagine valoriale che la scuola deve rendere visibile. L’ipotesi di una scuola veramente autonoma (ex statale) e libera (non statale), costituita attorno a progetti educativi e formativi condivisi dagli studenti, dalle loro famiglie, dal gruppo a cui appartengono, visti non più come sudditi o come clienti, ma come partner, come corresponsabili, con un ruolo attivo e collaborativo nell’individuazione dei bisogni, nella determinazione delle strategie e nel controllo, è oggi ipotesi urgente da realizzare.
Va valorizzato il ruolo degli insegnanti, la cui professionalità non diminuisce, ma si trasforma, e viene sottoposta non al controllo burocratico, che è formale, non al controllo politico, che è strumentale, ma a quello sostanziale delle famiglie, che vanno incoraggiate ad esprimere i loro desideri e ad avere una parte centrale nell’assunzione delle decisioni.
Va rispettata e promossa la responsabilità e la presenza della famiglia come soggetto educativo nel sistema formativo scolastico: solo così, attraverso la concreta libertà di insegnamento, che è garanzia di libertà di apprendimento e di educazione, si potranno mettere in atto processi formativi rispondenti autenticamente ai bisogni e alle necessità dei soggetti in formazione e della società nelle varie realtà che la costituiscono.
«A stabilire ciò che ha da essere prodotto non sono né gli imprenditori, né gli agricoltori, né i capitalisti, né i sindacati, ma i consumatori. Ne consegue che non è lo Stato, né la politica, a stabilire ciò che ha da essere insegnato, ma l’utenza» (Ludwig von Miles).
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