Sconto di pena. Il nodo del decreto carceri che riguarda i detenuti per mafia e terrorismo

Di Chiara Rizzo
04 Febbraio 2014
Una norma del decreto carceri al voto oggi prevede che per ogni semestre di "buona condotta" tutti i detenuti abbiano uno sconto di pena di 75 giorni. Cosa ne pensano l'Anm, il procuratore aggiunto Ardita e il capo del Dap

Stasera, si voterà la fiducia sul decreto carceri. Uno dei temi più discussi è quello dell’aumento dello sconto di pena ai detenuti per buona condotta, che ha rappresentato il pomo della discordia tra i partiti, contrapponendo in particolare Lega e Movimento 5 stelle (che sostengono che il decreto favorisca la liberazione di pericolosi criminali) a tutti gli altri. Il tema ha anche diviso gli specialisti del settore che hanno partecipato alle audizioni della commissione Giustizia della Camera.

COSA CAMBIEREBBE. Attualmente, per ogni sei mesi di pena trascorsi in carcere, il detenuto che ha una buona condotta riceve 45 giorni di “sconto” sulla detenzione rimanente. Il decreto “svuota carceri” ha innalzato lo sconto a 75 giorni: si tratta di una norma che è destinata a tutte le persone in carcere, compresi i detenuti per reati di mafia o terrorismo (non all’ergastolo) ma che non è automatica, dato che è il magistrato di sorveglianza a valutare il comportamento del detenuto e, nel caso di reati più gravi, è richiesta una “motivazione rafforzata” per la concessione della riduzione. Fino ad oggi, invece, i detenuti per associazione mafiosa o terroristica (e non all’ergastolo) non hanno avuto diritto ad avere “benefici premiali” di alcuna natura, a meno che non fossero collaboratori di giustizia.

ARDITA: «PEGGIO DI UN INDULTO MASCHERATO». Tra coloro che più hanno criticato la misura, spicca il procuratore aggiunto di Messina, ed ex direttore generale dei detenuti del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), Sebastiano Ardita, che nell’audizione in commissione Giustizia ha lanciato un allarme: «Vi è la possibilità di favorire l’uscita dei soggetti più pericolosi dal punto di vista criminale». Secondo Ardita, «si parla di “indulto mascherato”, ma mi permetto di dire che è più di un indulto mascherato, perché, mentre l’indulto opera in modo lineare e uguale per tutti per cui, se si dà un indulto di un anno di pena, tutti i detenuti avranno un anno di sconto, con questo meccanismo lo sconto cresce con il crescere della pena, quindi riguarda i più pericolosi e poi tutti gli altri, a decrescere. Chi ha una pena di 6 anni o superiore avrà il massimo dell’applicazione del beneficio, mentre chi sconta una pena modesta avrà un beneficio proporzionale all’entità della pena. Un detenuto condannato ad un massimo di 6 anni per l’associazione mafiosa, che stia in carcere dal 1 gennaio 2010 dopo circa 3 anni e 6 mesi riacquisterà la libertà, in quanto lo sconto di pena sarà pari a 2 anni e mezzo». Complessivamente, secondo il procuratore messinese «oggi sono 10 mila i detenuti per mafia, di cui 1.300 ergastolani. Circa novemila detenuti, che sono in custodia cautelare o in esecuzione pena e non all’ergastolo, beneficeranno comunque di questo provvedimento».

L’ANM: «NESSUN AUTOMATISMO». Posizione diametralmente opposta quella espressa dal segretario dell’Associazione nazionale magistrati Rodolfo Sabelli in commissione, che si è espresso favorevolmente alla norma («purché sia solo un provvedimento per risolvere l’emergenza»): «Non vi è alcun sconto automatico, ma tutto è rimesso esclusivamente al comportamento corretto sotto il profilo disciplinare: la norma richiede un’adesione all’opera di rieducazione, che va valutata caso per caso, periodo per periodo in relazione individualizzata ad ogni detenuto». Nel merito l’Anm ha chiarito: «Aderire al trattamento, o opera di rieducazione, non significa formale osservanza delle regole di condotta disciplinari, anche se un’interpretazione burocratica potrebbe anche portare a un’interpretazione così limitativa, ma che il detenuto ha dimostrato con i suoi comportamenti di aderire al progetto rieducativo predisposto per lui all’interno dell’istituto penitenziario, quindi implica un atteggiamento di collaborazione rispetto alle istituzioni preposte alla rieducazione. Ovviamente ogni magistrato di sorveglianza, prende decisioni anche in base alla giurisprudenza ormai consolidata della Corte di Cassazione. La prova dell’adesione all’opera rieducativa non può che trarsi da vari elementi, tra i quali gli atti di osservazione interna al carcere, quindi le relazioni comportamentali, le relazioni di sintesi fatte dall’équipe con l’intervento dell’educatore, dello psicologo, dell’assistente sociale, ovviamente la condotta disciplinare, il comportamento generale e anche la conoscenza diretta da parte del magistrato di sorveglianza». La critica dell’Anm sta semmai nel fatto che il meccanismo di valutazione in carico al magistrato di sorveglianza «è farraginoso e si può rivedere».

TAMBURINO (DAP): «PENA COMUNQUE ESPIATA». Sul provvedimento è intervenuto anche l’attuale numero 1 del Dap, Giovanni Tamburino: «Sono favorevole all’aumento della liberazione anticipata e vorrei porre qualche osservazione per quanto riguarda la distinzione con i fenomeni indulgenziali o estintivi. Qui non si tratta di estinzione della pena, ma di riduzione di una pena sul presupposto di una sua effettiva espiazione, cioè di una effettività. La pena, infatti, viene eseguita entro certi limiti ed è quindi patita, sofferta, sia pure con una riduzione rispetto alla determinazione quantitativa del giudice in sede di condanna. Vi è poi un’applicazione caso per caso, quindi è nominativa persona per persona, non a reati o a categorie di reati. Debbo anche ricordare che è visto favorevolmente un sistema di elasticità o di flessibilità della pena rapportato al soggetto a livello delle indicazioni del Consiglio d’Europa. A me sembra che, di fronte alla necessità di un riequilibrio del sistema, questo sia uno strumento con una buona efficacia e forse il meno lesivo delle esigenze di certezza e giustizia».

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