Saviano incontra Assange, e si scopre paladino della privacy (anche perché il suo nome è nei cablo)
«Anche in WikiLeaks esiste un punto debole da cui non possiamo prescindere», ha scritto il giornalista e scrittore Roberto Saviano, su Repubblica di sabato. «Si può riassumere in quell'”intercettateci tutti” detto spesso con troppa leggerezza»,«un punto debole che individuo nella violazione, talvolta, di informazioni private, irrilevanti» «che passa sopra le persone, travolgendole».
Sarà stata l’aria di Londra, o l’incontro ravvicinato con il fondatore di WikiLeaks, barricato da mesi nell’ambasciata dell’Ecuador, Julian Assange, a convincere l’autore di Gomorra del fatto che le intercettazioni, e la loro pubblicazione, non sempre siano un bene per i cittadini?
MEETING A CRESCENT STREET. L’incontro fra l’autore di Gomorra e il fondatore di Wikileaks si è consumato nell’ambasciata ecuadoregna, in una delle tante casette «con i mattoncini rossi» di Knightsbridge, quartiere benestante di Londra nei pressi di Hyde Park.
Colpito dalla bellezza di Assange, che nell’ambasciata vive «da prigioniero per non finire in prigione», Saviano nota come «il suo pallore sembra quasi entrare in contraddizione con il lercio» che «ha tirato fuori attraverso il suo lavoro». Dopo le presentazioni, Saviano viene portato da Julian, che lo ha accolto a piedi scalzi («per disturbare il meno possibile il lavoro degli impiegati e dei funzionari» dell’ambasciata ecuadoregna) nella stanzetta dove vive. «In queste stanze», osserva l’autore napoletano, «ci sono pezzi di una quotidianità che spesso, anzi sempre, si divide in tanti altrove».
«Mi hanno detto che ha una lampada abbronzante, ma non la vedo»: Saviano descrive il loculo occupato da Assange all’interno dell’ambasciata come poco soleggiato e per nulla spazioso: «È molto difficile mettere in un sol posto il rum, i dossier e una cyclette». Vita dura, per il fondatore di Wikileaks, anche per quanto riguarda il cibo, che «arriva da fuori (dall’Inghilterra ndr), ed è il peggior cibo del mondo».
CONDIVIDI UN SEGRETO DI STATO. Perché Assange è finito in un’ambasciata ecuadoregna circondato dalla polizia britannica che vorrebbe consegnarlo al governo svedese per un mandato di cattura europeo? Saviano lo spiega: «A sedici anni Julian Assange aveva un’idea molto chiara di cosa significasse per lui democrazia ed era un’idea basata principalmente sulla libera circolazione delle informazioni».
Il merito di Assange? Aver mostrato «come media e fango distruggano spesso l’esistenza delle persone», afferma l’autore di Gomorra. I suoi principi? «Non danneggiare i sistemi nei quali entri, non modificare le informazioni che trovi e condividile». «Condividere. Non usare, mistificare, modificare, piegare, omettere. No: condividere». Condividere informazioni significa renderle pubbliche a uso di chi legge, di chi guarda, di chi ascolta. È il racconto di come il Potere comunica. Non come in Italia dove «ci si concentra sul gossip », e l’informazione è basata su «dicerie perlopiù false che mettono in difficoltà i vari poteri fotografandoli in mutande».
IL PRINCIPIO DELLA TIRANNIA. Ma anche alla «mappatura dei meccanismi sotterranei del Potere», ovvero alla condivisione di documenti sensibili delle ambasciate americane operata da Wikileaks, Saviano trova delle controindicazioni: «Ci sono informazioni sulla sicurezza nazionale che secondo alcuni avrebbero potuto mettere a rischio i cittadini». Inoltre, prosegue, l’autore napoletano, la trasparenza a tutti i costi non è sempre un bene: «”Se non abbiamo nulla da nascondere non c’è nulla di male a essere intercettati”» è uno slogan pericoloso, perché è «anche il principio della tirannia», mentre, «al contrario, la riservatezza delle informazioni personali è il principio della libertà», spiega Saviano, forse parafrasando l’ex garante della Privacy Stefano Rodotà.
«Io stesso venivo citato in alcuni cablogrammi diffusi da WikiLeaks riguardanti la penetrazione della camorra in Spagna», racconta, con una vena di preoccupazione: «Se in quel contesto ci fosse anche stato un giudizio verso di me e se quel giudizio non fosse rimasto cosa privata, sarebbe stato preso come il giudizio ufficiale degli Stati Uniti su Roberto Saviano». E, allora, meglio non condividerlo.
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