Saul dell’Alfieri. Dodici studenti portano in scena la tragedia del potere
«Il teatro non è letteratura, il vero teatro ha solo bisogno di essere rappresentato per essere compreso». Andrea Maria Carabelli, attore e regista, esordirà da questa sera fino all’1 luglio in sei serata dedicate alla tragedia Saul del drammaturgo italiano Vittorio Alfieri, al Teatrino di corte della Villa Reale di Monza. Assieme a dodici ragazzi dell’Istituto scolastico Don Gnocchi di Carate Brianza presenterà lo spettacolo teatrale accompagnato dalla possibilità eccezionale di visitare il ciclo di affreschi dedicati ad Amore e Psiche del pittore Andrea Appiani.
«Due sono i motivi che mi hanno spinto a mettere in scena una tragedia dell’autore astigiano», spiega Carabelli a tempi.it. «Il primo è un motivo puramente contingente legato al luogo della rappresentazione. Ho voluto valorizzare la Villa Reale nell’epoca della sua massima espressione artistica, cioè l’Illuminismo, attraverso il confronto di due autori del Settecento che hanno contribuito al formarsi di una cultura italiana. Appiani e Alfieri, due grandi artisti che non hanno in comune solo l’allitterazione dei cognomi. Il drammaturgo tormentato e il pittore di affreschi si sono trovati a operare nel medesimo arco temporale ed è riscontrabile una relazione molto stretta che li congiunge. A partire da questo, l’intero evento monzese vuole essere un’occasione di interesse culturale per Milano e per chi desidera conoscere un aspetto dell’Italia che ci appartiene. Il secondo stimolo parte da un’esigenza didattica. Alfieri è l’autore italiano teatrale per eccellenza, ma, nonostante questo, continua ad essere poco conosciuto e riconosciuto dalle scuole italiane perché molto arduo da affrontare. Il fatto che non sia valorizzato risponde pienamente al suo statuto di autore teatrale e non letterario. L’unica forma che lo spettatore o studente possiede per comprenderlo è quello di vederlo messo in scena. Solo la comprensione sul “come dire” ciò che l’autore scrive (in altre parole il fare teatro) rende ragione della vera natura di Alfieri».
Qual è l’aspetto più difficoltoso dell’affrontare la parola tragica di Alfieri?
Alfieri è oggettivamente faticoso e dunque postula una serietà nel lavoro della compagnia. Il confronto con la rappresentazione permette di giudicare se i ragazzi non solo hanno stabilito un rapporto affettivo col testo, ma anche se sono in grado di riportare questa affezione in scena. Il linguaggio potente di Alfieri ha questa peculiarità di potenziale pericolo: il personaggio tragico è naturalmente portato a compiere il suo gesto tragico fin dall’inizio del testo drammaturgico, tutte le condizioni sono poste in principio, ma i corpi sono come trattenuti da una forza invisibile che ne impedisce il movimento. Dove il corpo non può svolgere la sua funzione ecco intervenire la parola, suprema compagna dell’animo travagliato dello scrittore, a portare l’azione.
Perché la scelta è ricaduta, fra tutte le tragedie scritte, sul Saul?
Il motivo della mia preferenza risiede nello sviluppo approfondito del tema del potere e della tirannide che vi è presente. Molte sono le tragedie alfieriane rivolte a questa tematica, ma in un modo o nell’altro in tutte è sempre distinguibile una chiara e distinta linea di demarcazione tra il personaggio tiranno e il personaggio eroe. Uno degli aspetti che più attrae dell’opera su cui i ragazzi hanno lavorato quest’anno è che quel confine non è più visibile. Il fine dell’atto compiuto non è riducibile alla didascalia di buono o cattivo. La restituzione del personaggio, nella sua essenzialità d’intreccio e d’azione, risulta complicato e affascinante. Il tiranno per eccellenza, Saul, è semplicemente un uomo che ha coltivato il potere in maniera onesta e secondo le norme impostegli da Dio. L’evidenza per cui il problema del potere appare come una provocazione per ognuno di noi è innegabile. Saul è un uomo che vive nella carne la contraddizione di un potere che va gestito per la difesa del proprio popolo, ma cosa accade se quello stesso potere viene negato d’improvviso? Come giustificare l’atto divino della privazione se si rivela in seguito ad un gesto di misericordia del tiranno nei confronti d’un re nemico? Si mette a tema la questione umana per eccellenza quando si parla dell’esercizio del potere.
Come Saul vive la contraddizione del potere in se stesso?
La situazione d’inconciliabilità vissuta da Saul emerge nella tragica condizione di essere padre e re nel medesimo momento. Il suo è un io disgregato, incapace di ritrovare l’unità e tutta l’opera di Alfieri si può leggere sotto questa chiave di lettura: Come può un uomo solo sopportare di veder convergere nella sua personalità entrambe le nature e al contempo salvaguardare se stesso? Il potere espresso da Saul ha due volti in opposizione l’un con l’altro, il primo si esprime come coercizione verso gli altri, il secondo come rapporto di amore verso i propri figli. La bellezza disarmante di questo testo è l’interesse riservato ai rapporti umani in quanto tali. La logica d’amore viene messa in crisi così come la decisione del re di rifiutare la sua condizione di padre. Gli interrogativi che sorgono nello spettatore quanto nell’attore riguardano le modalità in cui devono regolarsi i rapporti e, ultimamente, attraverso questi, comprendere la propria vera identità.
Il potere postula necessariamente questo volto violento?
Il testo alfieriano assiduamente pone in bocca a Saul frasi come: Non sono padre, sono re, oppure voi non siete più figli miei. Tutto il travaglio del personaggio è quello di un continuo ribadire che se non il potere donato da Dio viene meno, se la preferenza muore, tutta la personalità di Saul è messa in discussione. Privato di quel potere prima concessogli, l’unica via di salvezza per il re sembra essere la rinuncia completa e definitiva a essere, annullarsi nel proprio atto, non riconoscendo più chi ama. Elmo, scudo, asta, sono i nuovi nomi dei suoi figli. David, accolto alla corte come un figlio, nella visuale distorta di Saul assume ora le sembianze di un nuovo possibile nemico, usurpatore del trono. La logica del potere violento richiede la prevaricazione, per cui il fratello uccide il fratello e di me soltanto, di me solo io non temo, in quanto ogni uomo è obiezione alla propria personale realizzazione. L’ultima amica del re devastato, che nella lotta contro Dio perde gli uomini e perde se stesso, è la pazzia. Davanti al riconoscimento che la Verità non ha più consistenza (a maggior ragione per il popolo ebraico), l’uomo impazzisce, escluso dai rapporti che vorrebbero riconsegnarlo alla sua natura di relazione.
Può l’uomo dare le dimissioni da Dio a tal punto da rifiutare la propria natura?
No, neanche il rifiuto di Saul è sufficiente. L’ultimo estremo momento di realtà che Saul vive coincide con un atto di amore. Prima di morire, nel gesto che esaurisce la scena teatrale tra il caos dei Filistei che devastano Israele e il riflesso interno di questo caos nella personalità di Saul, il re ordina al suddito Abner di salvare Micol, sua figlia, ma imponendogli di presentarla non come figlia del re ma in qualità di sposa di David. Il sacrificio ultimo del re morente si attua in un amore senza riconoscimento.
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