Sana e consapevole libridine

Di Persico Roberto
25 Luglio 2002
Andare in ferie ma con il televisore spento. Perché la vacanza è ri-creazione, un atto sacro, e il suo strumento è il libro. Consigli di lettura sotto l’ombrellone

Una delle esperienze più divertenti della scuola è l’espressione che si dipinge sul volto dei miei studenti quando in un discorso cade la notizia che non ho la televisione: «Ma, prof!..» sbarrano gli occhi «che cosa fanno i suoi figli tutto il giorno?». La più banale delle risposte, «giocano», sembra giungere loro da un’estraneità siderale.
Ebbene sì, i miei figli giocano. E leggono. C’è una foto che ritrae la seconda, all’età di circa due anni (ora ne ha quindici), addormentata seduta sul water, la testa appoggiata su uno sgabello, sopra un Topolino aperto. La mia scoperta di Harry Potter risale a una notte allorché, rincasando verso le due, mi imbattei nel primogenito allora tredicenne con in mano un libro del piccolo mago. «Cosa fai ancora sveglio a quest’ora?», «Papà, quando incominci non riesci più a smettere». Forse è solo la (relativa) mancanza di alternative, o la meccanica imitazione del padre; ma a me piace pensare che in questo gusto dei miei figli per la lettura qualche merito l’assenza del tubo catodico ce l’abbia. Marshall McLuhan del resto ci ha spiegato le ragioni dell’homo tipographicus. Nell’immagine, specie in movimento, tutto è dato. Non c’è lavoro dello spettatore (salvo il caso dei grandi film, ma è un altro discorso) per analizzare, ricostruire, interpretare. In un servizio, una telenovela, un clip, tutto è (apparentemente) squadernato. Si tratta solo di registrare, pronti a passare all’immagine successiva. Cronaca, fiction, spettacolo, è tutto lo stesso: è il regno dell’in-differenza. Tutt’altra cosa è la lettura. Non è questione innanzitutto del contenuto, ma della forma stessa della comunicazione. Il più banale romanzetto rosa (ma esistono romanzi banali? Si veda la lode della letteratura popolare tessuta da Chesterton ne Il bello del brutto) costringe comunque a un lavoro. Il significato non sono gli scarabocchi neri sulla carta, ma quel che sta dietro. L’immagine che noi a partire da essi costruiamo. La mente lavora, sempre. Costruisce figure, riconosce ordini, intesse rapporti. Mi azzarderei perfino a dire che la lettura è, per sua natura, religiosa, mentre la Tv è atea. Nel senso che questa abitua a fermarsi sul dato immediato, senza andare oltre; mentre leggere insegna, a ogni istante, che il significato che dà forma a quel che vedo è qualcosa di altro. È un allenamento costante a riconoscere che il dato rimanda ad altro, mentre nella televisione rimane chiuso in se stesso. Conosco l’obiezione. La tele rilassa, mentre leggere impegna. E in vacanza si va per rilassarsi. È senz’altro vera la prima affermazione. Leggere impegna sempre: intelligenza, cuore, ragione. Ho dei dubbi sulla seconda. Non mi piace il termine relax. Mi ricorda una purga e l’atto che ne consegue. Preferisco di gran lunga una parola che si usava ai tempi in cui andavo a scuola: ricreazione. La vacanza, per me, è ri-creazione. Atto sacro. E allora ha bisogno di uno strumento religioso: il libro (e di un altro più religioso ancora, va da sé: l’esperienza. Ma l’uno e l’altra a tele spenta). Buona lettura.

Una questione di temperamento
«Uno può arrivare a vent’anni, può arrivare a trent’anni andando in chiesa tutte le domeniche, senza capire cos’è quella realtà in cui è nato. E questo è il vuoto che dentro la Chiesa fa l’onda malvagia del razionalismo moderno, della cultura moderna, della modernità». A ridare vitalità al cristianesimo non sarà la cultura cristiana, la contrapposizione della cultura cristiana alla cultura moderna. Può essere solo il fascino di uno sguardo. Uno sguardo totalizzante: capace di guardare una persona, un oggetto, e di coglierne i nessi col mondo, la storia, l’Origine di tutto e il Destino cui tutto tende. Un sguardo così nasce da un temperamento. Come quello di Pietro, appassionato, impetuoso: “Signore, lo sai che Ti amo”. Per l’impeto di quella risposta, non per la sua coerenza morale, Gesù gli ha affidato la Chiesa. Perché Lui usa la materia di cui siamo fatti, la pasta di cui ciascuno è fatto. Essere accolti da uno sguardo così, essere toccati da un temperamento così, decidere di seguire e di legarsi a un incontro così: di qui può rinascere un sentimento nuovo di sé, una modalità nuova di rapporto col mondo, con tutto ciò che si incontra: «allora l’io nuovo nell’azione – che è la dinamica con cui afferma se stesso, con cui tende al suo destino – assimila a sé tutto ciò che tocca, tutto ciò che vede, tutto ciò che sente, che ode, che ascolta, tutto ciò che sente col cuore, tutto ciò che tocca con l’intelligenza».
Luigi Giussani, Dal temperamento un metodo, 424 pp. Bur – I libri dello spirito cristiano, euro 9,50.

Cosa dice lo zaddik
Lungo le strade polverose e nelle case scure degli shtetl dell’Europa orientale, fra i vicoli angusti e nelle sinagoghe dei ghetti si svolge la silenziosa epopea degli zaddikim, «coloro che hanno provato di essere giusti», e dei loro discepoli, i hassidim, cui è affidato il compito di raccontare l’opera dei maestri: «si sono viste grandi cose, vi si è preso parte, bisogna narrarlo, darne testimonianza. La parola che narra è più che semplice parola, è accadimento essa stessa». Trasmessi oralmente per generazioni, i racconti dei hassidim hanno trovato in Martin Buber l’uomo che con pazienza, devozione e rigore li ha messi sulla carta. Perché si conservi la memoria di un movimento che «senza affievolire la speranza messianica, suscitò una gioia del mondo così com’è, della vita così com’è, in ogni ora della vita del mondo, quale essa sia». Insegna infatti lo zaddik, con tutta la sua vita prima che con le parole, che «quando tu rivolgi l’intera forza della tua passione al destino terrestre di Dio, se tu compi ciò che hai da compiere in quell’attimo, qualunque cosa sia, con tutta la tua forza e con tal santa intenzione, tu congiungi eternità e tempo. Il mondo in cui vivi, così com’è e non altrimenti, ti permette quel rapporto con Dio che redime allo stesso tempo te e quella parte del divino nel mondo che ti è stata affidata. E la tua propria natura, quello appunto che sei, rappresenta il tuo particolare àdito a Dio, la tua particolare possibilità».
Martin Buber, I racconti dei Hassidim, 606 pp. Guanda, euro 24,50.

Padre Pio, un santo semplice
La canonizzazione di Padre Pio ha riproposto un’antica cesura nel popolo di Dio, tra la gente semplice pronta a riconoscere con cuore libero le forme impensate con cui il Mistero che fa tutte le cose sceglie di essere presente fra i suoi, e gli intellettuali che pretendono di misurare col metro del proprio pregiudizio quel che Dio può e non può fare. Rino Cammilleri sta senza riserve dalla parte dei primi, e ci offre la più accattivante e fedele fra le ricostruzioni delle vicende del frate di Pietralcina. Senza risparmiare frecciate ai maitres a penser dell’intellighenzia cattolica, che sussiegosi storcono il naso di fronte alla fede dei semplici.
Rino Cammilleri, Vita di Padre Pio, 270 pp. Piemme, euro 6,20.

Il detective dell’osservazione
«Umanissimo come il Maigret di Simenon, romantico come il Marlowe di Chandler, intellettuale come il Vance di Van Dine, eppure caparbiamente italiano»: così Oreste del Buono. Il commissario De Vincenzi, capostipite del giallo all’italiana, nato in un’epoca (il Ventennio fascista) poco favorevole al genere poliziesco, controfigura letteraria del suo mite autore, appartiene alla schiera degli investigatori consapevoli che, per risolvere un caso, più che ai risultati della scientifica occorre affidarsi al proprio senso di umanità. Dentro ciascuno c’è un potenziale colpevole. Smascherare un assassino lascia sempre un po’ di amaro in bocca. Come sarà alla fine di questa vicenda, ambientata in una Milano nebbiosa, familiare e terribile.
Augusto De Angelis, L’albergo delle Tre Rose, 269 pp. Sellerio, euro 10,00.

Da Dante a Nietzsche
All’inizio della parabola culturale dell’Occidente sta Dante. Le parole che usa di più sono il verbo guardare e i suoi annessi (occhi, sguardo eccetera). A chiudere quella traiettoria, a proclamare la morte di Dio, ad annunciare la trasmutazione di tutti valori, c’è un uomo profondamente miope. «Non si può capire l’uomo Nietzsche, il suo atteggiamento, il suo modo di essere, di stare al mondo e il suo stesso filosofare se non si tien conto della miopia che lo accompagnò fin da ragazzo e lo condusse, in breve tempo, a una semi-cecità. (…) Questo vivere di sé, di pensiero, di letture, imbozzolato nel proprio io, lontanissimo dalla vita reale spiega, in buona parte, le straordinarie contraddizioni dell’uomo Nietzsche». Che mentre predica il superuomo e l’amoralità si commuove per un nonnulla e si indigna per ogni infrazione all’ordine borghese. Si legge come un romanzo, illumina meglio di un saggio un filosofo fondamentale per il nostro tempo.
Massimo Fini, Nietzsche, 427 pp. Marsilio, euro 17,00.

L’anello mancante
La scienza ha i suoi dogmi, certo più numerosi di quelli della teologia. L’evoluzionismo è uno dei più tenaci. Le teorie darwiniane vengono propinate ai nostri ragazzi, dall’asilo all’università, come infallibilmente dimostrate. Nulla di più falso. Non solo si cerca invano il famoso “anello mancante” fra l’uomo e la scimmia, ma non è stata individuata alcuna traccia delle ipotizzate forme intermedie fra le diverse classi di animali. Ritrovamenti strombazzati dai media come “la prova” dell’evoluzione – è il caso dell’uccellosauro del titolo – si sono rivelati falsi clamorosi (ma la smentita è stata naturalmente silenziata). Il creazionismo in America non è più un pregiudizio fondamentalista: è un’ipotesi sostenuta, dati alla mano, da fior di scienziati. Blondet squarcia la cortina del silenzio, e rivela che, da un punto di vista strettamente scientifico, è molto più probabile che sia la scimmia a discendere dall’uomo.
Maurizio Blondet, L’uccellosauro ed altri animali, 140 pp. Effedieffe, euro 10,00

Il grande seicento lombardo
Grande merito della Provincia di Milano è stato organizzare la primavera scorsa la mostra dedicata alla Lombardia Spagnola. Occasione preziosa per far sapere al grande pubblico ciò che gli specialisti vanno ormai da qualche tempo ripetendo: che il Seicento lombardo non è stato quell’abisso di decadenza e malgoverno che le letture scolastiche (Manzoni, ahimè, in testa), figlie del pregiudizio illuminista e risorgimentale, ci hanno raccontato; bensì un periodo molto più sfaccettato, in cui i milanesi hanno partecipato spesso da protagonisti a un governo che ha garantito a lungo la crescita economica e civile della città e del territorio. Il catalogo conserva l’intelligente lezione di storiografia, arricchita delle sfolgoranti immagini dell’arte dell’epoca.
Provincia di Milano, Grandezza a splendori della Lombardia spagnola, 138 pp. Skira, euro 30,00

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